Severissimo atto d’accusa della Corte dei conti contro l’otto per mille. Il principale imputato è la Chiesa cattolica, il soggetto che percepisce oltre l’80% delle somme raccolte. Ma il dito viene puntato anche contro lo stato, accusato di poca trasparenza, assenza di controlli e sostanziale disinteresse, quasi che il meccanismo dell’otto per mille fosse una sorta di «foglia di fico» per nascondere il meccanismo di finanziamento diretto alle confessioni religiose.

Non è la prima volta che i magistrati contabili criticano il sistema dell’otto per mille – lo scorso anno ad essere giudicato iniquo era stato il meccanismo della ripartizione proporzionale delle quote non espresse che favoriva nettamente la Chiesa cattolica -, ma questa volta i rilevi sono piuttosto pesanti e molto circostanziati.

Il sistema, spiega la relazione della Corte dei conti, ha «contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana». Da quando è entrato in vigore, la Chiesa cattolica ha incassato oltre 20 miliardi di euro, e dal 2002 l’importo si è stabilizzato intorno ad 1 miliardo l’anno. Nel 2015, per esempio, le sono stati assegnati 995 milioni di euro. Buona parte di questi fondi (73%) è stata utilizzata per «esigenze di culto e pastorale» (403 milioni, il 40% del totale) e «sostentamento del clero» (327 milioni, il 33%); una percentuale minore per gli «interventi caritativi» (265 milioni, il 27%).

Proprio sulla ripartizione dei fondi e sulla campagne pubblicitarie si soffermano i richiami della Corte. «Non esistono – scrivono i magistrati – verifiche di natura amministrativa sull’utilizzo dei fondi erogati alle confessioni, nonostante i dubbi sollevati dalla parte governativa della Commissione paritetica Italia-Cei su alcune poste e sulla ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi», che invece risultano abbondantemente pubblicizzati.

Ma, si legge nella relazione, proprio «il ricorso alla pubblicità da parte delle confessioni religiose per ottenere una quota sempre più rilevante della contribuzione pubblica rischia di creare la necessità di convogliare ingenti risorse a fini promozionali a discapito del loro utilizzo per le finalità proprie». Insomma le confessioni – non solo quella cattolica – spendono troppo in pubblicità, e in questo modo utilizzano i fondi in maniera non corretta.

C’è poi il sospetto di veri e propri brogli. Da un controllo su 4.968 schede, sono stati riscontrati errori nel 7,02% dei casi perché «il contribuente ha espresso una scelta che il Caf ha omesso di trasmettere», «il Caf ha trasmesso una scelta nonostante il contribuente non ne avesse effettuata alcuna» oppure «il contribuente ha espresso una scelta ma il Caf ne ha trasmessa una diversa». E va rilevato, nota la Corte, che «nel 65% delle irregolarità in argomento le scelte erroneamente trasmesse sono a favore delle Chiesa cattolica».

Una percentuale di «errore» che sale addirittura all’84%, sempre a favore della Chiesa cattolica, in un’altra casistica: la «mancata conservazione, da parte del Caf, delle schede recanti la scelta del contribuente». Quindi il Caf segnala la scelta di destinazione dell’otto per mille a favore della Chiesa cattolica, ma non si trovano più i modelli firmati dal contribuente in cui l’opzione sarebbe stata espressa.

Sotto accusa anche lo stato: scarsa trasparenza, poiché non viene comunicato ai cittadini in maniera chiara come sono utilizzati i fondi; uso improprio delle risorse, spesso non impiegate per i fini previsti dalla legge (beni culturali, calamità, fame nel mondo, assistenza rifugiati) ma per altri scopi, come per esempio la missione militare in Iraq; disinteresse ad incentivare la destinazione dell’otto per mille allo stato; trasferimento alla Chiesa cattolica di fondi destinati allo stato, per esempio per il restauro di immobili ed edifici religiosi.