Il gesso di Tamberi, quello che gli ha precluso i Giochi di Rio cinque anni fa, sollevato come una reliquia è stata subito immagine simbolo del dopo vittoria nella disciplina olimpica per eccellenza: il salto in alto di un Icaro involato e violato che si è permesso di andare a toccare il sole e di riatterrare senza danno.

Il campione marchigiano è bello e fotogenico e sfoggia una certa capacità teatrale per le entrate che poi diventano post su Instagram e foto in prima pagina: mezza barba come il Capitano della Freccia Azzurra, canuto come il padre di Draco Malfoy, il gusto per la rappresentazione scenica  lo avvicina, seppur con toni molto più misurati,  ad altro noto sportivo delle Marche, Valentino Rossi  fresco di annuncio del ritiro da corse che lo hanno visto festeggiare anche  in camice bianco, abbracciato a una bambola gonfiabile, con una palla al piede.

GLI EROI son tutti giovani e belli, ma ognuno esulta a modo suo ed approda alla ribalta visiva mediatica con scatti che poi rimangono negli annali e nella memoria.

Atleta di Fano,,[object Object],scultura in bronzo attribuita a Lisippo, (IV – II secolo a.C);,[object Object],Getty Museum

 

Se ne sono viste delle belle, in questa strana estate di libertà vigilante, dove, qualcuno ha osservato sui social, il tormentone è stato l’inno di Mameli e i protagonisti dello sport sono tornati in auge come esempi e dispensatori di speranza ed energia. Giochi  e vittorie a scoppio ritardato, targati ostinatamente 2020,  come stelle lontane un anno luce dal presente.

Gli atleti vittoriosi, e i loro allenatori, hanno sollevato coppe, sfoggiato tatuaggi da maori, dispensato abbracci, liberatori anche solo a vedersi; nello sport oggi ragioni e sentimenti vanno condivisi, non solo sui social: Tamberi festante che abbranca Jacobs è l’icona di mezza estate, più di Chiellini che acciuffa Saka a Wimbledon.  L’immagine del composto Mancini, pacato anche nello spot che promuove le sue Marche, che finalmente piange abbracciato a Vialli, ha colpito nel segno come il rigore di Bernardeschi e fatto il paio con il gesto di giubilo che  ha trasformato Mattarella in  ragazzino (e meme), fresco come solo i grandi Vecchi sanno esserlo, come Peter Higgs quando ha sorriso commosso e quasi imbarazzato  all’annuncio alla scoperta del bosone che porta il suo nome.

Si è capaci, ora, di fermo immagine che hanno congelato in aria il recupero di Filippo Tortu nell’ultima frazione della staffetta 4×100, il tuffo di Valentina Rodini e Federica Cesarini dopo la vogata al fotofinish; regie di droni hanno mostrato dall’alto Luigi Busà, vittorioso nel karate, e il rettangolo del suo tatami arancione. L’energia in movimento prima della posa imbastita, fatta di medaglie tra i denti e bandiere sulle spalle, e poi applausi in fondo alle scale degli aerei che riportano a casa, visite a Palazzo, sorrisi e cravatte, e qualche foto rubata di relax in spiaggia, ricongiungimenti familiari e accoppiamenti giudiziosi.

La raffigurazione dell’atleta che oggi rimbalza su social visuali è stata fondante anche nella tradizione classica, agli albori della storia olimpica,  prima che De Coubertin la traghettasse in tempi moderni polverizzandone lo spirito originario. In Grecia dove gli sportivi non erano mai professionisti, l’importante era solo vincere e il podio e il piedistallo non si dividevano con nessuno.

SOLITUDINE di numeri primi rappresentati secondo canoni astratti nella perfezione a energia compressa del gesto sportivo, come il Discobolo di Mirone, nell’incedere del Doriforo di Policleto. Come illuminato dall’occhio di bue sulle assi di Broadway, l’atleta è circoscritto dentro uno spazio esclusivo; accade non solo al campione nell’agone, vedi il sullodato Discobolo, ma anche al vincitore alla premiazione. Su tutti l’atleta di Fano ripescato in mare e conteso  tra Italia e USA  e tutt’ora residente a Malibu, al Getty Museum. L’ultima tappa della vicenda giudiziaria che va avanti da oltre mezzo secolo è una risoluzione approvata all’unanimità dalla Commissione Cultura del Senato il mese scorso sulla restituzione dei beni culturali illecitamente esportati che potrebbe schiudere le porte al ritorno della statua attribuita a Lisippo. Il giovane vittorioso non è turbato dal cambio destinazione,  in fondo casa sua potrebbe essere ovunque in Grecia o in Magna Grecia, ma continua da secoli, avvolto nell’olimpico distacco, a mettersi in capo (o a sollevarsi dal) una corona di ulivo, che Zeus gliel’ha data e nessuno gliela toglie.

Salvato dalla acque come Mosè è anche un altro sportivo bronzeo, trovato in Adriatico, e custodito nel bellissimo museo dell’Apoxyòmenos di Lussino che  nel 2019 si è aggiudicato un riconoscimento speciale all’European Museum of the year Awards,  L’atleta è colto in un gesto dei più minuti e intimi: la toletta personale nel dopo gara che implica la rimozione della polvere mista a sudore e olio; precisamente il giovane pulisce lo strumento appena utilizzato per detergersi: lo strigile.

Quanto  raschiato degli umori secreti dal corpo degli atleti, che nell’antichità greca gareggiano notoriamente svestiti (gymnos vuol dire nudo) e unti, veniva rivenduto quale elisir da proprietà taumaturgiche e finiva nei ricettari e nel corredo magico di quanto girava attorno al mondo delle gare olimpiche.

Miti sportivi oggi come allora. Monica Centanni docente di letteratura greca e di Tradizione classica e all’Università Iuav di Venezia e Università degli studi di Catania commenta: «il dna della tradizione classica si rigenera e riemerge in forme diverse. L’elemento che più connota gli sportivi dell’antichità è l’aretè, un valore che possiede il campione e che non è diverso da quello che connota il migliore nell’agone politico : l’eccellenza di chi prende parola e riesce a convincere gli altri con la capacità oratoria è la stessa di chi vince ai giochi. Quello che li accomuna è uno stato di grazia».

Grazia che può tornare ed essere ricercata in modi nuovi. Quella soffusa dall’Apoxyòmenos,  dal Discobolo o dall’Auriga è totale e permea ogni aspetto della persona e della personalità di colui cui è toccata in sorte: «La grazia riguarda intelletto, contegno, abilità  fisica. Qualcosa di diametralmente opposto al modello americano dove il risultato sportivo fa maturare sconti su quello accademico», spiega Centanni, «il mare custodisce e può accadere che talvolta restituisca tracce di questi valorosi modellati nel bronzo ma ciò che davvero rimane, lo ha detto magnificamente Pindaro, che a differenza di statue e città non si fa distruggere,  sono le parole».
Che volano in alto come Tamberi, eppure restano.