Quattordici giudici costituzionali (e non quindici, dopo le dimissioni due mesi fa di Frigo, della cui sostituzione il parlamento comincerà a occuparsi solo oggi pomeriggio, e serviranno settimane). Tra questi giudici tre relatori, uno per ognuna delle tre richieste di referendum presentate dalla Cgil con il sostegno di oltre tre milioni di firme: abrogazione delle modifiche all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abolizione dei voucher e ripristino della responsabilità in solido tra appaltante e appaltatore. Pochi dubbi sull’ammissibilità da parte della Corte costituzionale degli ultimi due, rispettivamente affidati ai relatori Prosperetti (giudice esperto di diritto del lavoro) e Morelli (giudice proveniente dalle sezioni civili della Cassazione). Molto più attesa, perché contesa, la decisione sull’articolo 18, relatrice la giuslavorista Sciarra. L’udienza, a porte chiuse, con la partecipazione di due legali per la Cgil (Vittorio Angiolini e Amos Andreoni) e dell’avvocato dello stato (Vincenzo Nunziata) comincerà proprio dall’esame del quesito sull’articolo 18, stamattina alle 9.30 in Corte costituzionale. La decisione in giornata.

Se la Consulta dovesse ammettere i referendum, il governo avrebbe tempo (al massimo) fino al 15 febbraio per scegliere una domenica compresa tra metà aprile e metà giugno per fissare la data del voto. La data più prossima possibile è quella del 16 aprile, la più remota l’11 giugno. Nel primo caso, come ha dimostrato l’esperienza del referendum sulle trivelle, l’esecutivo potrebbe sperare che una campagna elettorale abbreviata limiti la partecipazione sotto il quorum minimo di validità (la metà degli elettori aventi diritto). Facendo così fallire i referendum. Ma, dopo la grande affluenza al referendum costituzionale del 4 dicembre e visto l’interesse sui temi del lavoro si tratterebbe di un azzardo. L’altra arma a disposizione dell’esecutivo è quella di disinnescare la consultazione modificando le leggi sulle quali insiste la richiesta di abrogazione; per questo converrebbe avere più tempo a disposizione e dunque fissare il referendum a giugno. Le ipotesi di modifica sia sui voucher che sulla responsabilità negli appalti sono già in campo. Lo stesso ministro Poletti, ieri in senato per «scusarsi» della gaffe sui giovani che lasciano l’Italia, ha detto che «il governo considera necessaria la revisione di questo strumento per riportarlo all’origine di una copertura dei lavori occasionali». Una quarantina di deputati Pd con in testa il presidente della commissione lavoro della camera Damiano propongono per questo di tornare al testo della legge Biagi – del governo Berlusconi – che nel 2003 introdusse i voucher. Anche sugli appalti si potrebbe tornare alla normativa del 2007.
Ma sarebbe impossibile per il governo Gentiloni e per il Pd ripristinare l’articolo 18, e dunque il reintegro in caso di licenziamento illegittimo, dal momento che la sua cancellazione costituisce il cuore del Jobs act renziano. Per far saltare il primo quesito del referendum Cgil, nel caso i giudici costituzionali oggi decidessero di ammetterlo, l’unica possibilità è quella dello scioglimento anticipato delle camere – come da dichiarazione sfuggita ancora al ministro Poletti.

Assai stretto è allora il legame con la prossima decisione della Consulta, quella del 24 gennaio sulla legge elettorale. Per il Pd renziano, che proprio ieri ha riconosciuto l’inutilità di avviare una discussione in senato prima della decisione sull’Italicum, è fondamentale avere a disposizione un sistema rapidamente applicabile. E poi sperare in Mattarella.