Una delle frasi memorabili dell’ex presidente Jacques Chirac passata alla cronaca è: “le grane volano in gruppo” (les emmerdements volent en escadron). Non gli dà certo torto in questi giorni il primo ministro Manuel Valls, che scherza amaro: “abbiamo deciso di raggruppare tutti i problemi tra fine giugno e inizio luglio”.

Come non bastassero il Brexit, la rivolta sociale contro la Loi Travail (martedì è un altro giorno di manifestazioni), lo stato d’emergenza, l’Europeo di football e gli hoolingans pieni di birra, oggi torna in primo piano sulla scena la decennale storia dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes.

C’è un referendum, a cui sono chiamate a rispondere un po’ meno di un milione di persone, gli abitanti del dipartimento della Loire-Atlantique: “è favorevole al progetto di trasferimento dell’aeroporto attuale di Nantes-Atlantique sul territorio del comune di Notre-Dame-des-Landes?”.

Qui, la Zad (inizialmente sigla di Zone d’aménagement différé, zona di pianificazione differita, diventata sinonimo di Zone à défendre, zona da difendere) è entrata in dissidenza da anni, contro un progetto diventato l’emblema francese dei Gpi, Grandi progetti inutili. Sul terreno dove dovrebbe venire costruito l’aeroporto c’è un’occupazione che dura, qualche centinaio di militanti, alcuni dei quali si sono trasformati in agricoltori (e hanno cosi’ ottenuto il sostegno dei locali).

Viene contestato il luogo scelto, una “zona umida” che verrebbe cementificata in nome del turismo di massa, uno sviluppo considerato di un’altra epoca, mentre già esistono altri aeroporti nella zona.

Per i favorevoli, invece, Nantes ha bisogno di un altro scalo, più accogliente e lontano dalla città (il rumore di quello attuale incide sulla vita di 40mila persone, con il uovo l’impatto sarebbe solo su un migliaio).

Gli zadisti contestano la costruzione del Gpi, ma anche il referendum, perché coinvolge solo un dipartimento invece di tutto il bacino di utenza potenziale (Loire-Atlantique e Bretagna).

Il progetto iniziale risale agli anni ’60, sono stati fatti ricorsi in giustizia di ogni tipo, ci sono stati rapporti di esperti contraddittori e alla fine attorno a Notre-Dame-des-Landes si è costruito un caso nazionale che nessuno sa più come districare. Tanto più che anche nel governo le opinioni divergono: Hollande, come al solito, avrebbe voluto prendere tempo, Valls vuole una decisione a favore, mentre la ministra dell’Ecologia, Ségolène Royal, sembra contro. Non è neppure chiaro se il progetto si sia ridimensionato, ridotto a una sola pista.

A detta di tutti, il referendum non risolverà nulla, o quasi. Valls ha avvertito, anche se il voto è solo consultativo: “se il no vince, il progetto sarà abbandonato, se il si’ vince, il progetto verrà avviato. Voglio egualmente ricordare che qualunque sia il risultato, le persone che occupano illegalmente delle proprietà devono andarsene”. Una minaccia che porta con sé il rischio di nuovi scontri, se ci sarà un intervento della polizia per lo sgombero.

Gli zadisti sono anche molto attivi in tutte le manifestazioni contro la Loi Travail, in particolare a Nantes e a Rennes. Per il governo, la configurazione peggiore sarebbe un si’ striminzito, con una bassa partecipazione. La contestazione continuerebbe, tra occupazione e nuovi ricorsi in giustizia. Se vince il no, per l’eurodeputato ecolo Yannick Jadot, “tutto è risolto” (a parte lo sgombero).

Daniel Cohn-Bendit, che è stato tra i fondatori di Europa Ecologia, critica le modalità del referendum: all’inizio “era un’idea per calmare il gioco, per arrivare a una pacificazione. Ma adesso, visto il modo in cui è stato preparato, non fa che aumentare le tensioni”.