Anche ieri, durante la conferenza stampa dedicata all’annunciata riforma della pubblica amministrazione, Matteo Renzi è riuscito a parlare del referendum costituzionale di ottobre come «la madre di tutte le battaglie». Eppure, sostiene ufficialmente il Pd, la campagna elettorale per il Sì e per il No «non è ancora cominciata perché il referendum non è stato ancora indetto». Una versione ufficiale e formalistica, chiaramente contraddetta dal comportamento quotidiano dello stesso partito democratico a cominciare dal suo segretario. Che però serve a giustificare il clamoroso squilibrio dell’informazione Rai sul referendum, da ieri testimoniato nei dati a disposizione della commissione di vigilanza. Ai commissari è infatti arrivata una prima risposta dell’Agcom sui tempi di parola nella tv pubblica a proposito della riforma costituzionale. Dopo averli letti, Forza Italia ha immediatamente denunciato: «È pienamente in atto un’occupazione mediatica, la premiata ditta Renzi, Boschi e Napolitano porta a casa complessivamente poco meno del 40% del tempo di parola nei telegiornali Rai e circa il 20% nei programmi extra Tg».

L’analisi dei dati però è complicata, dal momento che non sono divisi per fascia oraria e non è indicato se il rappresentante politico si è espresso per il Sì o per il No (anche se in generale ci sono pochi dubbi e in particolare non ce n’è nessuno per Renzi, Boschi o Napolitano). A chiedere i dati all’Agcom è stato il presidente grillino della commissione di vigilanza Roberto Fico, che è accusato dal senatore di Forza Italia Gasparri di essere troppo arrendevole («la protervia del Pd fa il paio con la debolezza di Fico»). L’ufficio di presidenza della vigilanza ha deciso però di convocare in audizione sul tema del referendum il presidente dell’Autorità garante delle comunicazioni, la prossima settimana.
Per la mancanza di un’adeguata informazione in Rai ieri hanno protestato anche tre comitati promotori (quello del No al referendum costituzionale, quello del Sì al referendum contro l’Italicum e quello per la libertà di voto promosso dai radicali italiani che chiede di dividere il referendum costituzionale in più quesiti omogenei). In una lettera indirizzata a Renzi, Alfano e Boschi, i tre presidenti dei comitati (i costituzionalisti Pace e Villone, e il segretario radicale Magi) di fronte alle difficoltà nella raccolta delle firme avanzano una richiesta precisa al governo. Accade infatti che la mancanza di certificatori – particolarmente a Roma dove i consiglieri comunali sono decaduti dopo lo scioglimento del comune – abbia costretto fino a qui i comitati a pagare i pochi cancellieri dei tribunali disponibili a presenziare ai banchetti per garantire l’autenticità delle firme. Al costo di 25 euro l’ora, i cancellieri comportano una spesa di circa 600mila euro per arrivare a 500mila firme. Ragione per cui si chiede al governo di consentire ai comitati di individuare delle persone delegate ad autentificare le firme sotto la propria responsabilità. Ma serve un decreto, perché la raccolta è ormai agli ultimi giorni (la scadenza per l’Italicum è il 4 luglio, per il referendum costituzionale il 14).