Le aperture la relatrice del disegno di legge costituzionale che introduce il referendum propositivo, Fabiana Dadone, le ha fatte tutte. «Spero che dal dibattito potranno emergere delle soluzioni per risolvere positivamente alcuni degli ultimi profili critici sollevati dalle opposizioni», ha detto la deputata 5 Stelle aprendo la discussione generale sulla riforma costituzionale. «Il testo è ancora aperto al confronto di tutti», ha aggiunto. Ed è inevitabile che sia così perché è arrivato dalla commissione con alcuni difetti evidenti e altri problemi non ancora risolti. Le opposizioni però non sono pronte a infilarsi in questi spiragli, Forza Italia al contrario attacca a testa bassa non solo la maggioranza ma anche il Pd che sarebbe troppo tenero. Colpa del fatto che la correzione sul quorum di validità del nuovo referendum – che prima non c’era e adesso richiede che i sì raggiungano il 25% degli aventi diritto – è stata fatta proprio accogliendo un emendamento del Pd. Ma all’insaputa del Pd, che adesso non sa cosa aspettarsi sugli altri due punti che più di tutto considera pericolosi: la possibilità di proporre leggi di iniziativa popolare rafforzate (quelle destinate a diventare referendum propositivi) quasi su tutti gli argomenti (leggi di spesa, di ratifica degli accordi internazionali e leggi penali comprese) e l’ormai celebre ballottaggio tra due proposte di legge, quella del comitato promotore e quella approvata dalle camere, che potrebbe delegittimare il parlamento.

La trattativa nel merito è frenata dalle valutazioni politiche. I 5 Stelle comprendo il rischio di condurre in porto una riforma costituzionale con i soli voti della maggioranza, a immagine e somiglianza di quanto fece Renzi tre anni fa, ma non possono rinunciare alla loro impostazione. Che è al fondo quella di una competizione tra un istituto di democrazia diretta e il cuore della democrazia rappresentativa (nel frattempo al senato è in pista il taglio dei parlamentari). Il Pd rifiuta questo approccio, e se può essere tentato di contribuire all’approvazione di un testo accettabile, o di ridurre il danno (almeno alcuni deputati lo sarebbero), non arriverà mai al punto di votare la riforma bandiera dei 5 Stelle.
I nodi tecnici dipendono da questi ostacoli politici. È evidente che mettere in competizione al ballottaggio due testi di legge non troppo differenti non avrebbe molto senso, ma affidare alla Cassazione (come già nel caso del referendum abrogativo) il compito di confermare o meno il referendum, nel caso il parlamento approvasse un suo testo, scardinerebbe la principale leva del progetto del ministro Fraccaro, che è appunto quello di fare dei cittadini organizzati un contropotere del parlamento.

Il fatto che la Lega, all’inizio disinteressata se non contraria, si stia convincendo dell’opportunità di questa riforma, complica le cose per le opposizioni. La gogna per Battisti apre prospettive spaventose per referendum in materia penale, Salvini ne è ovviamente attratto. Le audizioni in commissione esteri sul provvedimento hanno fatto balenare il rischio che sia possibile anche un referendum sull’euro e in generale il tema del rispetto dei vincoli internazionali è stato parecchio depotenziato dall’approvazione di un emendamento grillino. La legge in questo diverge assai da quella svizzera indicata a modello, perché lì è in prima battuta il parlamento a valutare la compatibilità della proposta di legge popolare con l’ordinamento internazionale. Altra differenza con la Svizzera è nella scheda, il dossier di documentazione della camera l’ha resa esplicita. Nel progetto italiano, infatti, nel ballottaggio tra proposta di legge popolare e testo approvato dalle camere, solo chi ha scelto di votare per entrambe può indicare quale preferisce con un terzo voto. Soluzione a forte rischio di incostituzionalità che sarà verosimilmente corretta. Così come appare in discesa la strada che porta ad attribuire alla Consulta il compito di valutare la compatibilità dell’iniziativa popolare con la Costituzione prima che sia indetto il referendum.