Napoli, Bologna, ma la vera chiusura della campagna elettorale Renzi la fa in televisione. Al Tg1 della sera, sfidando le norme della par condicio nonché le leggi della fisica sull’occupazione degli spazi. C’è ancora lui per cena, e parla ancora di referendum, anche se si vota domani nelle città. «La partita vera la giochiamo a ottobre», dice. E siccome non gli basta dettare tempi e regole del gioco, spaventa anche un po’: «Se non passa la riforma costituzionale perdiamo la flessibilità europea». Dunque, signori, in palio ci sono soldi.
Demagogica l’aveva annunciata, e demagogica la sta facendo la campagna elettorale sul referendum, il premier che non sa più come nascondere le urne amministrative. Sono nulla: «Per il governo e per il paese non cambia niente». A ottobre invece, a proposito di campagna «nel merito», se passa il Sì «un parlamentare su tre va via, torna a lavorare». L’antipolitica da palazzo Chigi.
Ma insieme alla propaganda, c’è la strategia. Ecco allora i ragionamenti sull’annuncio fatto dal presidente del Consiglio mercoledì, naturalmente in tv: «Spero che il referendum si possa fare il 2 ottobre», la festa dei nonni. Uscita che ha immediatamente portato a ragionare sull’incrocio con il 4 ottobre, il giorno in cui la Corte costituzionale prenderà in esame il primo (e unico) ricorso contro la legge elettorale, quello arrivato dal tribunale di Messina. Ricorso in realtà considerato abbastanza gracile, attorno al quale le previsioni dei giuristi non sono le migliori. Si immagina che la Consulta possa non accoglierlo. Fosse così, portare il popolo a votare sulla riforma costituzionale la settimana dopo, e non quella prima, della decisione sull’Italicum, potrebbe al contrario convenire a palazzo Chigi. Perché la bocciatura dei giudici delle leggi sarebbe a quel punto un buon viatico per il Sì.

Evidentemente, si consolano gli avversari dell’Italicum, se Renzi vuole anticipare il referendum significa che qualche preoccupazione sull’atteggiamento della Corte ce l’ha. Preferisce non rischiare: fosse azzoppato l’Italicum, anche la riforma costituzionale perderebbe l’equilibrio. Ma il calendario lo consente, può il governo anticipare alla prima domenica di ottobre il referendum costituzionale? Siamo proprio sul filo.
Spetta all’ufficio centrale della Cassazione decidere sulla legittimità delle richieste di referendum. Una, quella dei deputati della minoranza, è stata immediatamente accolta agli inizi di maggio, velocissima. Ma molte altre sono poi arrivate, e altre ancora si annunciano in extremis, per esempio dal Movimento 5 stelle. C’è tempo fino al 14 luglio (tre mesi: la riforma è stata pubblicata in Gazzetta il 15 aprile). Per il governo è importante che la Cassazione decida anche stavolta velocemente. In teoria ha un mese di tempo ma se lo usasse tutto andrebbe oltre la seconda settimana di agosto, termine massimo in cui può essere convocato il Consiglio dei ministri per indire il referendum il 2 ottobre. E la Cassazione cercherà di fare presto. Ma due richieste di referendum possono richiedere un esame più lungo. Quella dei radicali, che hanno proposto un quesito per parti separate e due quesiti parziali.Sarebbe un precedente importante, ma al quale gli ermellini potrebbero applicarsi solo nel caso in cui arrivasse l’appoggio indispensabile dei parlamentari. Poi ci sono le richieste sostenute dalle firme di 500mila cittadini. Anche Renzi ne ha lanciata una, di cittadini per il Sì, ma consapevole del rischio di allungare i tempi (le firme vanno controllate) ha deciso di portare tutto in Cassazione con sette giorni di anticipo, il 7 luglio. Poi c’è la raccolta del Comitato del No, che invece sfrutterà tutto il tempo a sua disposizione. Motivo in più per firmare quei moduli.