Con quattro giudizi di inammissibilità la Corte costituzionale spazza via gli ultimi ostacoli sulla strada degli election days. Il 20 e 21 settembre si voterà dunque non solo per il rinnovo di sette consigli regionali (Puglia, Campania, Toscana, Marche, Liguria, Veneto e Valle d’Aosta, nell’insieme 17 milioni di elettori), per due elezioni suppletive per il senato (in Sardegna e Veneto) e per circa un migliaio di comuni (5,2 milioni di elettori, in parte coincidenti con quelli delle regionali) ma anche per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. La riforma che riduce da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori elettivi è stata approvata dal parlamento ma ha bisogno della conferma dei cittadini: non è previsto un quorum, conta la prevalenza dei sì o dei no al taglio. È questa consultazione che estende a tutto il paese – 47 milioni di elettori solo sul territorio nazionale – i disagi e i rischi di diffusione del contagio. Benché annunciata e promessa, non è stata trovata una soluzione alternativa all’uso delle aule scolastiche per i seggi, in tutta Italia le scuole dovranno dunque chiudere per una settimana, dopo appena una settimana dalla partenza dell’anno scolastico.

In più si voterà in condizioni di stato di emergenza prorogato, il governo ha appena diffuso delle raccomandazioni per l’accesso ai seggi di non semplice attuazione, come una triplice detersione delle mani per ogni elettore (all’ingresso, quando ritira la scheda e dopo che l’ha consegnata), la distanza di un metro tra tutti i componenti del seggio e di due metri al momento in cui l’elettore, per farsi identificare, dovrà togliersi la mascherina. Tutto questo per tenere insieme – per la prima volta nella storia delle elezioni – voto politico e voto referendario. Condizione imposta dai 5 Stelle che hanno voluto il taglio lineare del parlamento imponendolo al Pd e agli altri alleati. La Corte costituzionale ha confermato la scelta, «ha voluto stabilizzare il governo privilegiando la tutela dello status quo», ha commentato uno dei senatori promotori del referendum, Andrea Cangini (Forza Italia).

Nel merito le decisioni della Corte si comprenderanno appieno oggi con il deposito delle ordinanze, ma già si conoscono le motivazioni sommarie che hanno condotto il collegio «a larga maggioranza» a quattro giudizi di inammissibilità. Previsioni confermate per il ricorso avanzato da +Europa, che aveva fatto leva sulla difficoltà delle liste a raccogliere le firme in estate: secondo la Corte «la costante giurisprudenza costituzionale nega ai partiti la natura di potere dello stato». Idem per il conflitto tra poteri dello stato sollevato dall’avvocato Felice Besostri per conto del senatore Gregorio De Falco, che lamentava l’introduzione dell’election day nella legge di conversione di un decreto e l’approvazione con voto di fiducia. Il giudice costituzionale Nicolò Zanon, lo stesso che aveva accolto il ricorso di Besostri contro la legge elettorale Italicum, stavolta non ha lesinato giudizi severi, parlando di ricorso «confuso e incoerente», inammissibile perché «non ha chiarito quali attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare siano state in concreto lese». «Sono perplesso e costernato – la reazione di Besostri – spero proprio che le motivazioni siano convincenti, altrimenti vuol dire che non abbiamo efficaci strumenti di garanzia di fronte a violazioni costituzionali».

Inammissibile anche il ricorso della regione Basilicata, che evidenziava la sproporzione nel taglio: è la regione più penalizzata dalla diminuzione dei senatori, la sua delegazione diminuirà di quasi il 60% a fronte di un taglio dichiarato del 37%. Ma la Corte ha forse lasciato uno spiraglio per il futuro, spiegando che la regione avrebbe dovuto proporre un conflitto stato-regioni ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione e non tra poteri dello stato. Infine la decisione più attesa, quella sul ricorso firmato per il comitato promotore del referendum dal professor Celotto, secondo il quale «la campagna referendaria sovrapposta a quella politica, peraltro solo in alcune regioni e comuni, rischia di compromettere la libera formazione della volontà dell’elettore». Una solida giurisprudenza costituzionale riconosce al comitato promotore la titolarità di questi ricorsi, la soluzione trovata dalla Corte – relatore Giuliano Amato – è stata che nel senso che «il comitato promotore non ha la funzione generale di tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell’intero corpo elettorale». Inammissibile anche questo.