La riduzione del numero dei parlamentari, il monocameralismo oppure la differenziazione del bicameralismo paritario con altre modifiche della legge elettorale hanno storicamente fatto parte dei programmi istituzionali della sinistra comunista, sia della commissione problemi dello Stato del Pci, sia del Crs diretto a suo tempo da Pietro Ingrao, anche dello stesso PdUP e della Sinistra Indipendente ( ricordo la relazione Milani – Pasquino alla Commissione Bicamerale Bozzi del 1985, proprio sul tema della legge elettorale).

In quei progetti si sommavano diversi elementi (anche tecnici) che puntavano a garantire la piena espressione della volontà dell’elettorato, la rappresentatività istituzionale delle forze in campo, la formazione di governi coerenti con la capacità programmatica delle forze disponibili.

Contrapposizione vi fu con la “grande riforma” craxiana perché orientata verso il presidenzialismo, l’accentramento nell’esecutivo, il cosiddetto “decisionismo”.

In seguito tutto questo patrimonio fu azzerato e si procedette per colpi di riforma elettorale (considerata come la panacea di tutti i mali) perseguendo un duplice scopo : accompagnare in negativo il mutamento di natura dei partiti da soggetto di massa a personalistici “catch all party”; considerare la “governabilità” come la frontiera esaustiva dell’agire politico (tanto è vero che il Pci fu sciolto all’insegna dello “sblocco del sistema politico”)

Nacque a quel punto, beninteso fin dal “Mattarellum” , il meccanismo di “nomina” dei parlamentari da parte non tanto delle segreterie dei partiti ma delle cordate che spartivano il potere al loro interno oppure nella logica del “partito – azienda”.

Nel frattempo diminuiva esponenzialmente la partecipazione politica ( e quella elettorale) e si aprivano le porte a fenomeni di vera e propria degenerazione: prima l’egoismo razzista della Lega al quale fu sacrificato il titolo V della Costituzione, poi l’antipolitica di basso profilo etico – politico del movimento 5 stelle.

Intanto i diversi sistemi elettorali affinavano il meccanismo della nomina in luogo dell’elezione al punto da provocare, da parte di giuristi illuminati, i ricorsi alla Corte Costituzionale che in ben due occasioni provvedeva in materia con sonore bocciature, unico caso nella dimensione europea.

In questo quadro è intervenuta la proposta di riduzione nel numero dei parlamentari, proposta in chiave meramente propagandistica adducendo il motivo dei costi esorbitanti. Una motivazione che, oltre al profilo di bassa macelleria, ha evidentemente assunto una veste punitiva nei riguardi della rappresentatività.

La rappresentatività, collettivamente organizzata, delle opzioni politiche è sempre stata e rimane il vero bersaglio di queste operazioni.

Le operazioni di riduzione della democrazia aprono le porte ad un inasprimento della personalizzazione della politica verso il presidenzialismo, la modifica della Costituzione: già tante volte soggetta ad attacchi, per due volte respinti con il voto popolare.