Sono destinati a durare ancora un po’ i discorsi sul possibile rinvio del referendum costituzionale. La decisione della giudice Loreta Dorigo sui due ricorsi (Tani e altri, Onida) contro il quesito unico arriverà «non prima di dieci giorni», ha detto ieri la presidente della prima sezione civile di Milano, Paola Maria Gandolfi. Un’eventuale rinvio alla Corte costituzionale della legge sul referendum (nella parte in cui non prevede la possibilità di quesiti separati per argomenti omogenei) arriverà a ridosso del 4 dicembre: si assottigliano così le possibilità, già scarse, che il governo possa intervenire e anche quelle che possa essere la stessa Consulta ad assegnarsi un potere di sospensione, in analogia a quanto accade nei conflitti tra organi dello stato.

Intanto al senato altre due vicende evidenziano i difetti della riforma costituzionale. La prima riguarda il senatore del Nuovo centrodestra Gabriele Albertini, che ha minacciato di non votare più con la maggioranza se non gli sarà riconosciuta l’insindacabilità nel caso giudiziario che lo vede contrapposto al magistrato Alfredo Robledo, ex procuratore aggiunto di Milano. Già condannato in sede civile, in primo grado, per diffamazione (Albertini, ex sindaco, aveva accusato il pm di perseguitare la sua amministrazione), rischia una più pesante condanna penale: la sentenza è attesa a Brescia la prossima settimana. Albertini, che all’epoca delle sue accuse era europarlamentare, si è visto negare lo scudo dall’Europa, ma ha avuto miglior sorte nella giunta per le autorizzazioni del senato, dopo che il Pd ha sostituito il primo relatore, orientato a respingere la richiesta. L’aula può ribaltare la decisione della giunta, come chiede il M5S e vorrebbe anche qualche senatore del Pd (in giunta Casson ha votato contro), oppure confermarla, come reclama il partito di Alfano. Il Pd affronta un doppio imbarazzo: l’insostenibilità del caso e il precedente che potrebbe rappresentare in vista della riforma costituzionale. Nelle polemiche grilline, infatti, il caso Albertini è diventato l’esempio di quello che può accadere con il nuovo senato, dove ai consiglieri regionali e sindaci promossi senatori sarà garantita l’immunità. Per evitare di offrire argomenti buoni ai sostenitori del No, e non colpire alle spalle gli alleati, il Pd vuole adesso far slittare il voto. Ma la sentenza è in arrivo e Ncd reclama con urgenza la protezione di Albertini.

La seconda vicenda riguarda le regioni a statuto speciale, ed emerge grazie a uno scambio polemico tra il senatore Calderoli (Lega) e la senatrice Finocchiaro (Pd). Se al referendum dovessero vincere i Sì, sostiene Calderoli, le regioni a statuto speciale rischierebbero di non poter eleggere i loro senatori. Negli statuti regionali, infatti, è prevista l’incompatibilità tra il mandato di consigliere regionale e quello di senatore. L’esatto opposto delle riforma, che però è una legge costituzionale e dunque prevale sugli statuti regionali. Non su quelli delle regioni speciali, però, per i quali – ha ammesso ieri Finocchiaro, che è stata relatrice della riforma – occorrerà una legge costituzionale d’intesa con le regioni interessate. Legge che richiede almeno quattro passaggi parlamentari e un anno di lavoro. E così (ammesso che verrà fatta la legge bicamerale per collegare l’elezione dei consiglieri alla scelta dei senatori) la Sicilia, dove si vota a ottobre 2017, rischia di restare in mezzo al guado.