«La verità è che qualcuno si sta preparando a fare di tutto per andare a votare prima e incassare un numero di parlamentari maggiore rispetto a quelli che vogliamo tagliare». La chiave di lettura delle intenzioni del governo, dopo che ieri mattina l’ufficio centrale della Cassazione ha dato il via libera al referendum costituzionale, la offre piatta piatta Di Maio. Se dopo le elezioni in Emilia Romagna (e Calabria) il governo cominciasse a traballare pericolosamente, per tenerlo in piedi si potrà dire che non si può andare al voto anticipato, pena il ritorno di un parlamento di quasi mille deputati e senatori invece che di seicento, come da riforma costituzionale. Sarebbe possibile se, nella finestra temporale che precede il referendum costituzionale, il presidente della Repubblica sciogliesse le camere, mandando tutti al voto con i vecchi numeri. Accettando il rischio che l’approvazione popolare del taglio dei parlamentari metta in fuori gioco politico il parlamento appena eletto. Ma quella finestra il governo può chiuderla a sua discrezione, visto che il presidente del Consiglio ha la facoltà di convocare entro 60 giorni da oggi il Consiglio dei ministri che deve fissare la data delle urne, da scegliere tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo.
Conte e i partiti di governo, in pratica, possono scegliere una data tra l’ultima domenica di marzo e la prima di giugno. La convocazione anticipata avrebbe l’effetto di impedire la crisi fino al referendum; una vittoria del sì rilancerebbe l’esecutivo – soprattutto i 5 Stelle – e per altri due mesi dopo il referendum non si potrebbe votare, il tempo necessario per disegnare i nuovi collegi elettorali. Una convocazione troppo anticipata, per esempio a marzo, però, avrebbe come effetto collaterale quello di rendere possibili le elezioni anticipate, per un parlamento a quel punto ridotto, a giugno. È difficile dire adesso con certezza quello che accadrà da lunedì prossimo, ma è probabile che la maggioranza convocherà il referendum in una data non troppo lontana, ma neanche troppo vicina. Ben sapendo che nel caso i nuovi collegi saranno pronti in autunno, a quel punto difficilmente si aprirebbe la crisi con la sessione di bilancio alle porte. Fino a ieri tra i ministri circolava l’indicazione di domenica 24 maggio come data del referendum, ma la decisione definitiva ci sarà solo dopo le regionali.
Nel frattempo, proprio nel giorno dello scontato via libera della Cassazione, il Coordinamento per la democrazia costituzionale ha annunciato, in una conferenza stampa alla camera di Alfiero Grandi, Alfonso Gianni e Domenico Gallo, la costituzione di un nuovo comitato del No, dopo quello che fu protagonista nel 2016 della sconfitta del referendum Renzi. «Questa volta la battaglia è ancora più difficile – ha detto Grandi – ma spiegheremo agli elettori che la riforma è in realtà un taglio alla rappresentanza. Le formazioni minori saranno tagliate fuori dal parlamento e i territori più piccoli avranno difficoltà a essere rappresentati