Dopo aver toccato con mano il No dei volontari delle feste dell’Unità, ora Nicola Zingaretti si trova tra i piedi un ostacolo ancora più ingombrante sulla via del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari: il No dei padri fondatori. Ieri si è piazzato sulla trincea dei contrari il più autorevole, Romano Prodi. Con un articolo sul Messaggero ha spiazzato chi lo sognava tra i riformatori della Costituzione spiegando che «sarebbe più utile al Paese un voto negativo, per evitare che si pensi che la diminuzione del numero dei parlamentari costituisca una riforma così importante per cui non ne debbano seguire le altre, ben più decisive per il futuro del nostro Paese».

A Prodi non è andata giù la narrazione con cui il M5S ha seguito questa riforma: «Campagne folcloristiche accompagnate da immagini di grandi forbici e di poltrone sfregiate dalle forbici medesime». E spiega: «Il dimagrimento del Parlamento può essere solo la conclusione di un necessario processo di riesame del funzionamento delle istituzioni».

IL PROFESSORE è solo la punta dell’iceberg di un magma che si sta muovendo tra i cattolici democratici che hanno dato vita al Pd, prodiani e non. Sul No si schierano infatti altre personalità come Arturo Parisi e Rosy Bindi, che ha firmato un appello promosso da Mimmo Lucà (condiviso tra gli altri da ex parlamentari come Paolo Corsini, Silvia Costa, Gero Grassi e Vidmer Mercatali): nel testo il taglio di 345 eletti viene definito «una legge indigeribile e del tutto inutile, la cui volontà si deve al populismo e all’antiparlamentarismo del M5S e della destra sovranista».

«Il mio è un No pieno e convinto», spiega Bindi al manifesto. Un No che rischia di danneggiare il governo? «La Costituzione viene prima di tutto, prima della sorte dei singoli governi. Sbagliò Renzi nel 2016 a mettere in gioco palazzo Chigi, sbaglia oggi chi antepone la sorte del governo ai propri valori costituzionali». Un altro fondatore che appare orientato per il No (ma non si è ufficialmente pronunciato) è Pier Luigi Castagnetti, già segretario dei Popolari e molto ascoltato al Quirinale. «Nel Paese si sta creando un clima già visto per il referendum Renzi», avverte su twitter. Poi annota: «In Parlamento il Pd ha votato Sì una sola volta su quattro, per di più per accordo politico». E rassicura: «Non credo che la vittoria del No avrebbe l’effetto di far cadere il governo. Altrimenti tutto il centrodestra voterebbe sicuramente No». Infine replica alla campagna social di Di Maio: «Nilde Iotti voleva una riforma, non uno spot».

PARISI È TRA I PIÙ CRITICI sull’abbraccio di Zingaretti alla battaglia anti-casta. «L’antipolitica cresce quando la politica fa proprie all’improvviso le promesse dell’antipolitica», spiega, ribaltando il ragionamento del presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. «L’opportunismo non è il modo migliore per contrastare il populismo». Il co-fondatore dell’Ulivo sostiene che l’alleanza giallorossa «è stata impostata fin dall’inizio senza traccia di un confronto adeguato e di un progetto politico». «Il modo con cui il Pd si è accodato al “taglio delle poltrone”dei cinque stelle dopo aver votato tre volte no ne è l’esempio più evidente», spiega al manifesto. «Ora i nodi vengono al pettine e il Pd ha comunque già perso: con il Sì stravince il M5S, se vince il No straperde il Pd, e il suo segretario che ha portato il partito alla sconfitta”.

DAL FRONTE CATTOLICO del Pd arriva un secco No anche dall’ex ministro Giuseppe Fioroni: «La sola amputazione della rappresentanza comporta un rischio di malfunzionamento del sistema, si indebolisce il pluralismo alterando la dialettica tra maggioranza e opposizione». In questo quadro sempre più impervio per Zingaretti- e pochi giorni dalla Direzione dem- il vicesegretario Andrea Orlando tenta un ultimo appello all’unità: «Io sosterrò il Sì, mi auguro che emerga una posizione unitaria».