Un emendamento, qualche ordine del giorno e la presenza distensiva in aula della ministra dell’interno Lamorgese hanno consentito, come anticipato ieri, di sbloccare l’iter del decreto elezioni. Entro una settimana potrà essere convertito, altrimenti scadrebbe e perderebbe efficacia. Lunedì sera ci sarà il voto finale della camera, per venerdì prossimo e quindi certamente con la fiducia quello del senato. Resta identico l’intervallo di date previsto per le elezioni regionali, comunali e per il referendum costituzionale, lo stesso che ha fatto fare ostruzionismo per tre giorni a Fratelli d’Italia. Resta dunque l’intenzione del governo di tenere tutti i voti insieme negli election days del 20 e 21 settembre.

L’emendamento concordato mercoledì sera in conferenza dei capigruppo rafforza un po’ la par condicio in campagna elettorale – quella che scatta nell’ultimo mese, quindi dal 20 agosto. Prevede infatti che il tradizionale controllo che da l’Agcom perché non ci siano posizioni di svantaggio rispetto all’accesso ai mezzi di informazione durante la campagna elettorale, sia quest’anno esercitato «in relazione alla situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del Covid-19». Vale a dire che i presidenti di regione uscenti non devono stare sempre in tv con la scusa che stanno combattendo il virus. Ma i vari Zaia, Toti, De Luca ed Emiliano – che sono ricandidati e che per questo hanno chiesto una data il più possibile ravvicinata delle elezioni – hanno già costruito il loro consenso guidando il carro della guerra al coronavirus, peraltro in sostanziale assenza di sfidanti ufficiali.

Come prevedono i minuetti della politica parlamentare, il partito di Giorgia Meloni ha rivendicato la presenza della ministra Lamorgese in aula come una vittoria, spiegando così la fine dell’ostruzionismo. A Forza Italia sono stati lasciati un paio di ordini del giorno, il primo per impegnare il governo a dissuadere le regioni (di più non può fare) dal cambiare all’ultimo momento le leggi elettorali. La maggioranza uscente nelle Marche ci stava pensando, e per la verità i più spaventati erano i 5 Stelle. Ma una mezza idea circola anche in Toscana, dove il ritocco sarebbe però limitato alla scheda elettorale per scoraggiare il voto disgiunto.

Un altro ordine del giorno, approvato, di Forza Italia prevede che il governo «valuti la volontà del comitato promotore del referendum costituzionale» prima di decidere di accorpare quella consultazione al voto politico delle regionali e alle comunali. Sia il comitato promotore dei senatori sia i comitati del no sono contrari all’accorpamento, Conte ha già ricevuto una memoria firmata dal costituzionalista Celotto che lo invita a desistere. Ma i 5 Stelle vogliono vincere facile, spaventati che un’informazione adeguata sulla riforma costituzionale possa cambiare l’orientamento degli elettori. Hanno perciò subìto l’ultimo ordine del giorno approvato, del radicale di +Europa Magi, che impegna il governo a mandare nelle case degli italiani un opuscolo informativo sulle ragioni del sì e del no al taglio dei parlamentari. Sempre che non costi troppo. In passato erano stati proprio i grillini a chiederlo.