La Lega è più che disponibile a discutere di una riforma della legge elettorale in senso proporzionale, ma l’altra colonna del centrodestra – Fratelli d’Italia, ormai – è pronta a «scatenare l’inferno contro amici e avversari» nel caso si prendesse questa strada. Forza Italia mantiene una fedeltà di facciata al maggioritario, ma legge i sondaggi e non disdegna una soluzione proporzionale, purché non simile al modello spagnolo che invece è proprio quello che preferisce la Lega. Morale: la consultazione dei partiti di maggioranza con quelli di opposizione sul tema della legge elettorale è finita in un secondo vicolo cieco, dopo quello imboccato dai giallo-rossi in seguito al dietrofront dei renziani sul sistema spagnolo. Trattative bloccate, tutto è rinviato a gennaio e a questo punto si aspetterà la decisione della Corte costituzionale, il 15, sul referendum leghista che può cambiare il senso della ricerca.

Intanto passa ancora per i consigli regionali controllati dal centrodestra la strategia della Lega per trasformare il sistema misto attualmente in vigore (Rosatellum) in un ultra maggioritario di tipo inglese. Già alla fine di settembre otto Consigli regionali (Lombardia, Veneto, Friuli, Sardegna Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Liguria) avevano approvato una delibera messa a punto dal leghista Calderoli per chiedere un referendum abrogativo della parte della legge elettorale che prevede l’elezione della maggioranza dei deputati e dei senatori con il sistema proporzionale (circa il 60%). Estendendo a tutti i collegi l’uninominale. La Cassazione aveva successivamente chiesto una correzione al testo del quesito e i consigli si erano adeguati per non far saltare i piani della Lega.

Piani che potrebbero ugualmente saltare, perché la richiesta di referendum deve passare per il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale, molto stretto sulle leggi elettorali. La Consulta non accetta il rischio che, in caso di vittoria del si al referendum abrogativo, il paese si trovi senza una legge elettorale immediatamente applicabile. Calderoli ne è consapevole e per questo ha appoggiato il suo referendum a una delega al governo a disegnare entro 60 giorni i nuovi collegi (la notizia che ci sarà il referendum sul taglio dei parlamentari un po’ lo aiuta). Ma forse non basta ed ecco allora il ritorno per la terza volta ai Consigli regionali. Dove la Lega sta facendo presentare sette nuove delibere (il Veneto nel frattempo è stato escluso per vizi di forma) per sollevare un ardito conflitto di attribuzione contro il parlamento, colpevole di non aver modificato la legge sul referendum (del 1970) che prevede la possibilità di sospendere l’effetto abrogativo per un massimo di 60 giorni dal referendum. Troppo pochi: Calderoli vuole che la sospensione sia senza limiti, fino a che le camere provvedano ai necessari adeguamenti legislativi. Così la Corte costituzionale non potrebbe che ammettere le richieste di referendum abrogativi. A cominciare da quella della Lega, che sta provando a sollevare i conflitti di attribuzione prima del giudizio sul referendum (15 gennaio).

Ma «l’asso», così lo ha definito Calderoli, potrebbe diventare un autogol, perché la nuova richiesta equivale al riconoscimento della non ammissibilità, allo stato dell’arte, del referendum elettorale proposto. Senza contare che il problema del tempo necessario a rendere applicabile una legge a seguito di una vittoria dei sì era stato risolto in altro modo nel 1987, in occasione del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, quando per legge si erano raddoppiato il tempo in cui gli effetti dell’abrogazione referendaria potevano essere sospesi. a. fab.