L’episodio in sé sarebbe derubricabile fra gli incidenti che di tanto in tanto infiorettano le dirette televisive. Giovedì 24 novembre Cristina Fantoni, conduttrice del TG delle 13,30 su La7, cade dai tacchi e scompare dal video durante un collegamento di anticipazione delle notizie con la trasmissione condotta da Myrta Merlino. La conduttrice è in piedi, introduce le notizie, fa appena in tempo a dire: «E poi andiamo al referendum, il nostro referendum», pausa… e flop, Fantoni scompare dal video, caduta come una pera cotta dietro la scrivania. Preoccupazione della Merlino che chiede: «Che è successo? Cristina stai bene?» La Fantoni ricompare tenendosi un po’ la fronte e un po’ un ginocchio, poi sospirando e ridendo imbarazzata si scusa, dice che è scivolata e aggiunge: «È colpa del referendum. Ho parlato del referendum…e non ne posso più. Scherzo. Scusate».

La cosa interessante di questo siparietto non è tanto la ragione tecnica della caduta, probabilmente causata da tacchi troppo alti o troppo sottili. La cosa interessante è la spiegazione che Cristina Fantoni ha offerto di getto, come uno sfogo venuto dal profondo.

I capitomboli hanno fatto la fortuna di certe trasmissioni televisive, vedi Paperissima e Paperissima sprint che, fra sganasciate di sottofondo, li propone dal 1990 ogni domenica su Canale 5 alle 20.40, ora di massimo ascolto. Mettersi a ridere quando si vede qualcuno cadere è un tratto tipico dell’infanzia, età in cui la disponibilità a farsi stupire è particolarmente marcata. Se poi si sa che nessuno si è fatto male, o è tutta una recita, il ruzzolone ha da sempre un posto d’onore nelle comiche, nei fumetti e nei programmi per bambini, basterebbe citare Stanlio e Ollio, Charlie Chaplin, Buster Keaton, Mister Magoo, Wile E. Coyote e Beep Beep, Gatto Silvestro e qui mi fermo per non farla troppo lunga.

La spiegazione di Fantoni, è colpa del referendum e non dei tacchi, è felicemente spontanea come la risata naif infantile, come il bambino della favola che grida: . Dicendo: «Ho parlato del referendum e…non ne posso più», la conduttrice svela quello che molti altri suoi colleghi probabilmente pensano, ma non possono dire quando devono apparire nel pieno delle loro funzioni di porgitori di notizie. Ci voleva uno scivolone in carne e ossa per far dire a qualcuno, e non a caso a una donna, che non se ne può più di parlare e sentir parlare di questo referendum, di averlo a ogni telegiornale fra le prime notizie, di sentire balletti , bollettini, pastoni e talk show sui pro Sì o pro No, raramente entrando nel merito del tema, più spesso trasformando la votazione in una competizione da wrestling.

Non a caso, la simpatia suscitata da tanta spontaneità è stata subito raccolte da altre colleghe, fra cui Roberta Serdoz che durante Linea notte su Rai3 ha detto: «Complimenti alla collega per come ha gestito l’imprevisto, accennando al referendum». E Mannoni: «Anche perché siamo tutti un po’ saturi…». E Serdoz:«Assolutamente sì». Per evitare repliche Fantoni ha detto che nel nuovo collegamento si sarebbe seduta. Però, pensate che bello sarebbe se i giornalisti tivù prendessero questo episodio come una forma di ribellione silenziosa, se quando devono leggere una notizia o lanciare un servizio che ritengono ripetitivo, non utile, non funzionale all’informazione cadessero come colpiti da Giove.
Pluff, pluff, pluff. Tu ti sintonizzi, inizi a guardare e all’ennesimo servizio su Renzi o Alfano o Salvini lo speaker va giù, inghiottito momentaneamente dal vuoto, dalla scrivania, dallo sconforto perché non ne può più di quella manfrina.

mariangela.mianiti@gmail.com