Domani, in giro per i quartieri di Bologna, ci saranno addirittura delle auto che andranno a prendere i cittadini a casa per portarli a votare nei 199 seggi allestiti dal comune per il referendum sui finanziamenti comunali alle scuole dell’infanzia private (poco più di 1 milione e 200 mila euro ogni anno). Troppo pochi i seggi, hanno denunciato i referendari, alcuni lontani anche chilometri dalle abitazioni. E allora dal cilindro del comitato Articolo 33 è spuntata questa idea: le auto dei cittadini di serie A che hanno deciso di regalare tempo e risorse per offrire un passaggio per andare a votare.

L’esempio è utile per capire lo spirito di quello che sta accadendo a Bologna. Una sfida da Davide contro Golia quella che si giocherà domani in quattordici ore di voto. Da una parte i cittadini e le associazioni che hanno dato vita al fronte referendario, appoggiati da Sel, dal M5S, dalla Fiom, dai sindacati di base e da una parte della Cgil. Ma con Sel che negli ultimi giorni è sembrata più preoccupata di salvaguardare l’alleanza col Pd al governo della città. Per capirsi, due giorni fa i segretari cittadini di Pd e Sel hanno firmato un comunicato congiunto per confermare la collaborazione politica e amministrativa. Sull’altro fronte, quello di chi è impegnato a difendere i finanziamenti comunali istituiti dalla convenzione del 1995 c’è molto più del governo delle larghe intese: Pd, Pdl, la Lega Nord, la Curia, tutti impegnati.

Se c’è un indubbio merito della discussione innescata dal referendum bolognese è quello di aver riportato sulla scena la discussione sulla difesa della scuola pubblica. Ancora ieri il neo ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza da una parte difendeva il merito delle convenzioni con le scuole paritarie, come ha fatto alcuni giorni fa, chiedendo però più soldi per la scuola pubblica. «O ci sono margini per un reinvestimento nella scuola pubblica oppure devo smettere di fare il ministro dell’Istruzione». L’investimento – ha proseguito – è necessario per il futuro del Paese, non ci sono altre strade disponibili. Siamo in una situazione drammatica, dobbiamo mettere in sicurezza le nostre scuole. Abbiamo bisogno prima di tutto di un investimento nell’edilizia scolastica e poi abbiamo bisogno di più insegnanti». Poi è tornata sulle scuole paritarie spiegando che svolgono un «servizio pubblico» e che «sarebbe un vero disastro» se questo intervento non ci fosse. E infine, proprio sul referendum bolognese, ha ribadito ciò che aveva scritto sul suo profilo Facebook: «Credo che i promotori del referendum avessero un obiettivo più a lungo termine, anche in relazione al fatto che la scuola pubblica è stata tagliata troppo. Il dibattito mette l’attenzione sulla scuola e quindi a me piace che se ne parli. Magari poi dobbiamo anche pensare a chi deve riuscire a coprire il servizio».

Quello che accadrà dopo il voto di domenica dipenderà soprattutto dalla partecipazione al referendum. Una valanga di voti per l’opzione A sarebbe difficilmente aggirabile. Nonostante il sindaco Virginio Merola abbia detto più volte che lui tirerà avanti con il sistema delle convenzioni non è un mistero che ci sia un ragionamento in atto su come sopperire al fatto che la scuola dell’infanzia è un diritto negato per un centinaio di bambini in città. Difficile pensare che la statalizzazione delle sezioni di scuola dell’infanzia possa avvenire in tempi brevi come ancora ieri chiedevano i parlamentari locali del Pd. Sottotraccia esiste una riflessione sull’introduzione della tassa d’iscrizione alle scuole materne, come avviene a Reggio Emilia. Una via indicata dal ministro Graziano Delrio che ha invitato a votare B al referendum. Quello della tassa in base al reddito è un provvedimento che per la deputata Francesca Puglisi del Pd, bolognese e responsabile scuola del partito, «non ho difficoltà a dire che è di sinistra».

Oggi a Bologna chiuderà la sua campagna il comitato per il B, per il referendum non esiste il silenzio elettorale come ha spiegato il segretario comunale al comitato che protestava per questa scelta.

Il sindacato di base Usb ha scelto di organizzare un corteo per portare comunque in piazza le ragioni del voto per l’opzione ma la Questura ha prescritto che il percorso passi lontano da piazza Maggiore, dove ci saranno appunto i pro fondi alle paritarie. Infine domenica il sindaco ha vietato la propaganda a 300 metri dai seggi dove si andrà a votare. Nelle parrocchie come sui social network è giustificato pensare che la campagna referendaria non si fermerà neanche un minuto. Questa campagna che a tratti ha assunto i contorni di una «battaglia» come l’ha definita il collettivo di scrittori Wu Ming: i volontari del comitato referendario paragonati ai 300 spartani di Leonida alle Termopili. Un esercito generoso che tenne in scacco i persiani preparando successive vittorie dei greci. L’importante è capire da dove ripartirà il dibattito sulla scuola.