Un referendum, tanti referendum o nessun referendum per cancellare il decreto sicurezza? Il dilemma fa capolino nelle già assai tormentate primarie del Pd. Tra i principali contendenti, la coppia Martina-Richetti insiste per il referendum. « Il Pd insieme a tutte le forze disponibili deve farsi promotore di questa iniziativa necessaria, anche con i gazebo delle primarie del 3 marzo», ha detto anche ieri Maurizio Martina, segretario uscente. Ma la sua proposta di raccogliere le firme quando gli elettori dem andranno a scegliere il segretario ha già registrato la freddezza, quando non la contrarietà esplicita degli altri sfidanti. Neanche una parola da Zingaretti, molto prudente nell’affrontare l’argomento immigrazione (l’approvazione definitiva della legge non ha meritato alcun commento da parte sua). Figurarsi Minniti che sulla sicurezza costruisce la sua candidatura. Il deputato Ceccanti, che lo sostiene, ha subito frenato: «Il decreto sicurezza non è condivisibile nel merito e va contro principi democratici e liberali, ma è bene riflettere a freddo sui mezzi per avversarlo. I quesiti andrebbero studiati attentamente perché uno totale sarebbe inammissibile per eterogeneità».

Tra la prima uscita (giovedì) e l’ultima (ieri) Martina ha in effetti corretto il messaggio. Dalla proposta di «referendum abrogativo del decreto Salvini» tout court si è passati a «referendum abrogativo di quelle norme che genereranno solo un esercito di irregolari e tanta insicurezza». Se si punta ancora sull’inefficacia della legge Salvini più che sulla sua disumanità e incostituzionalità, almeno si riconosce che trattandosi di un provvedimento ampio ed eterogeneo bisognerebbe immaginare più di un quesito. Pena lo stop della Corte costituzionale. Ma in questo modo si aprirebbe il problema di quali norme abrogare, se quelle sulla cittadinanza, quelle sull’abolizione della protezione umanitaria, quelle sull prolungamento della detenzione nei centri per il rimpatrio… Difficile che gli sfidanti del Pd siano d’accordo.

C’è poi un problema di tempi. Ai gazebo delle primarie si dovrebbero raccogliere senza troppe difficoltà le 500mila firme richieste per ogni quesito referendario, ma resterebbero congelate oltre sei mesi perché la Cassazione comincia l’esame delle richieste solo dopo il 30 settembre. Gli eventuali referendum si terrebbero allora nella primavera (dal 15 aprile al 15 maggio) del 2020 (a meno di elezioni anticipate). A circa un anno e mezzo da oggi. È probabile, oltre che auspicabile, che prima di allora la Corte costituzionale si sarà occupata del decreto, correggendo almeno gli aspetti più vistosamente illegittimi e senza passare dagli elettori. Anche perché nel Pd c’è già chi parla di «referendum boomerang», temendo la popolarità delle politiche salviniane.