Firme che escono, firme che entrano. Ieri il comitato promotore del referendum contro la riduzione dei parlamentari non ha potuto presentare, come annunciato, la richiesta alla corte di Cassazione. Un gruppo di senatori di Forza Italia ha ritirato in extremis il suo appoggio all’iniziativa, portando il totale delle firme al di sotto della soglia prevista dall’articolo 138 della Costituzione per chiedere il referendum (un quinto dei componenti di una camera, nello specifico 65 senatori).

Il 18 dicembre i tre promotori della raccolta, due di Forza Italia – Cangini e Pagano – e uno del Pd – Nannicini -, avevano annunciato di aver raggiunto le firme necessarie. Ma invece di chiudere il verbale di raccolta e correre a depositare tutto in Cassazione con la richiesta di referendum, hanno deciso di tenere aperta la raccolta fino all’ultimo (la scadenza è domenica 12 gennaio). Com’era prevedibile e previsto, le firme invece di aumentare sono diminuite. A ritirarsi ieri è stato proprio un gruppo di senatori di Forza Italia che fa capo all’area politica – quella di Mara Carfagna – alla quale aderisce anche un promotore del referendum, Cangini. Per quest’area di forzisti anti leghisti, la legislatura deve durare almeno il tempo necessario a sperimentare convergenze con i renziani. E certamente l’eventuale referendum costituzionale che tiene in sospeso per cinque-sei mesi la riduzione dei parlamentari favorisce (o avrebbe favorito) lo scioglimento anticipato della legislatura.

Ma oltre a queste considerazioni ha pesato la paura del referendum elettorale leghista – a riprova del fatto che la difesa del parlamento violato dal taglio grillino c’entra pochissimo con il balletto dei firmatari in and out. Il mancato referendum costituzionale, infatti, rende più difficile anche il referendum elettorale. O all’inverso, come scriveva il manifesto il 19 dicembre, «un referendum tira l’altro».

Mercoledì prossimo la Corte costituzionale deciderà sull’ammissibilità del referendum abrogativo escogitato da Calderoli che trasformerebbe il sistema elettorale italiano in quello inglese: tutti collegi uninominali dove il primo arrivato prende tutto. Un maggioritario spinto. La giurisprudenza della Consulta sui referendum elettorali, pur erratica, ha fin qui tenuto fermo il principio che senza una normativa di risulta immediatamente applicabile il quesito abrogativo non deve essere ammesso. Il paese non può restare neanche un giorno senza legge elettorale. Nel disegnare il taglia e cuci del suo quesito referendario, allora, Calderoli aveva tirato fuori dal cilindro (fuor di metafora: da una leggina firmata da lui stesso e approvata pochi mesi fa) l’indispensabile delega al governo a ridisegnare i collegi elettorali – nel caso di vittoria dei sì al referendum tutti uninominali. Il leghista aveva anche previsto, nel quesito referendario, di togliere il riferimento temporale (entro 60 giorni) per sganciare la delega dal taglio dei parlamentari, in funzione del quale era stata originariamente prevista. Una mossa particolarmente forzata, ne era consapevole lo stesso Calderoli tant’è che negli ultimi giorni aveva addirittura immaginato di portare davanti alle Consulta il mantra della «auto applicabilità» dei referendum elettorali. Ma intanto il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, tenendo viva la delega al governo, che viceversa sarebbe scaduta sessanta giorni dopo la promulgazione del taglio dei parlamentari, spingerebbe per l’ammissibilità del referendum elettorale. Almeno di questo si sono convinti i senatori «responsabili» di Forza Italia, da quattro a otto, che hanno ritirato in extremis la firma. E lo stesso ragionamento starebbero facendo almeno tre dei sette senatori Pd che hanno depositato la loro firma. Simmetricamente, la Lega che ha interesse sia a favorire l’ammissibilità del suo referendum sia a creare le condizioni per una durata breve della legislatura, sarebbe pronta a sostituire in corsa, tra oggi e domani, le firme dei senatori in fuga. Senza chiedere troppo alla coerenza: i leghisti hanno infatti sostenuto dall’inizio la riforma costituzionale che in questo modo metterebbero in forse. Salvini ha dichiarato sibillino: «Farei referendum su tutto».

L’attenzione è tutta sulla corte Costituzionale, dove oggi si costituiranno le parti a favore dell’ammissibilità del referendum (con una memoria del costituzionalista Guzzetta) e quelle contrarie (memoria dell’avvocato Besostri). La scelta dei giudici delle leggi condizionerà certamente il confronto sulla nuova legge elettorale, il cui testo sarà non casualmente incardinato alla vigilia della camera di consiglio. Ma potrebbe pesare anche sulla durata della legislatura.