«Nel 2003 abbiamo fatto la nostra parte per rovesciare un regime che brutalizzava i cittadini iracheni, abbiamo sostenuto la nuova costituzione, dove erano racchiusi i principi dell’unità irachena. Poi il governo centrale ha congelato il budget destinato ai Curdi e fallito nel mantenere ogni promessa». Così il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno Masoud Barzani sosteneva la necessità del referendum sull’indipendenza, previsto per il 25 settembre.

LA CORTE COSTITUZIONALE irachena ha bocciato il referendum perché contrario all’articolo 151 della Costituzione, ma nel nord del paese la decisione suscita sarcasmo: «Dov’era la Corte costituzionale quando innumerevoli altri articoli venivano violati?» commentano molti attivisti in rete.

Insomma, nel Kurdistan meridionale sono pochi a credere in quella Costituzione. «Ci sono solo due vie – ha spiegato Barzani -, la prima è rinunciare all’autonomia e diventare una provincia come le altre. La seconda è chiedere alla gente cosa vuole con questo eferendum».

Parole che alla Turchia, impegnata nella repressione dei movimenti autonomisti curdi, non piacciono. Nonostante Ankara consideri Barzani un alleato, il referendum è percepito come uno sviluppo in grado di mettere in pericolo per la presenza diplomatica, politica e militare della Turchia nel nord Iraq. E come gli altri stati confinanti, teme che un Kurdistan iracheno indipendente alimenti le speranze e l’intraprendenza degli autonomisti curdi in Turchia.

IL MINISTERO DEGLI ESTERI turco in un comunicato stampa del 14 settembre scorso sostiene l’imprescindibilità dell’unità territoriale dell’Iraq: «Insistere con questo referendum avrà un prezzo». Parole minacciose, a cui ha fatto seguito una massiccia esercitazione militare dell’esercito turco lungo il confine turco iracheno, con carri armati, trasporto di missili e artiglieria pesante.

Anche il presidente della repubblica Recep Tayyip Erdogan, prima di partire per gli Stati uniti, ha voluto richiamare Barzani all’ordine: «Quando hai bisogno bussi alla nostra porta e ottieni tutto il sostegno che ti serve, ma quando si parla di separazione dall’Iraq fai orecchie da mercante… Dovremo parlare con il primo ministro iracheno Al-Abadi, con cui condividiamo la visione».

MA L’ATTEGGIAMENTO della Turchia sull’argomento non è sempre stato così sferzante. I legami politici ed economici con Barzani sono solidi, tanto da spingere quest’ultimo a dichiarare, nel 2016, che l’Akp era l’unico partito turco che avrebbe potuto chiudere un occhio nei confronti di un Kurdistan indipendente.
Sono due i vincoli di ferro che legano Barzani al governo turco. Il primo è il comune nemico, il Pkk, che se pure spinge per l’autonomia curda, ma lo fa in direzione assai diversa rispetto a Barzani. Lo stato nazionale voluto da quest’ultimo rappresenta, per il Pkk e per il Pyd in Siria, un errore ideologico e politico. In questo senso la cooperazione militare e di intelligence tra la Turchia e il Kurdistan iracheno resta intatta, come dimostrato dai tentativi di Kdp e Puk (i maggiori partiti curdi iracheni) di convincere il Pkk a rilasciare i due alti ufficiali del Mit (i servizi segreti turchi) catturati l’agosto scorso.

IL SECONDO LEGAME è economico: la Turchia fornisce a Erbil l’unico sbocco commerciale possibile per la vendita di petrolio e gas. Lo dimostra il rinnovo dell’investimento della compagnia russa Rosnef per la costruzione di un gasdotto che dal 2020 condurrà il gas curdo attraverso la Turchia verso l’Europa. Il beneficio economico è importante per entrambi e il patrocinio di Mosca rafforza la solidità dell’accordo.

Ecco perché le dure parole di contrarietà al referendum da parte di Ankara nascondono in realtà ben altri equilibri che Erdogan potrebbe non voler compromettere

UN ESPLICITO SOSTEGNO a Barzani è arrivato invece da Selahattin Demirtas, il leader del partito dei popoli Hdp detenuto nel carcere turco di Edirne, da cui ha scritto una lettera dedicata al referendum. «Non c’è alcun dubbio che Barzani sia un onorevole leader che si muove nell’interesse del popolo curdo» ha scritto, invitando però il leader a riconciliarsi con le opposizioni e a riattivare il parlamento, sospeso dal 2015. Nella lettera Demirtas accusa gli stati vicini di colonialismo e ricorda: «I curdi hanno diritto all’autodeterminazione nella loro terra».