Matteo Renzi ieri ha parlato del referendum costituzionale durante il suo intervento a porte chiuse nel forum Ambrosetti di Cernobbio. Ha detto che «se vince il No non c’è la fine del mondo, non ci sono le cavallette. Semplicemente resta tutto così». Un’affermazione a prima vista banale; per essere apprezzata fino in fondo va messa a confronto con quello che il presidente del Consiglio ha detto negli ultimi tre mesi. A giugno: «Se passa il no l’Italia diventa ingovernabile, ci sarà sempre un inciucio, una larga intesa, un accordo. E in Europa non ci fila più nessuno». A luglio: «Sinceramente, chi può pensare che in caso di no al referendum il presidente del Consiglio e anche il parlamento non ne possano prendere atto?». Ad agosto: «Se vince il no ci sarà instabilità, distruzione della prospettiva di crescita e anche il rischio, se si guarda ai sondaggi, che il M5S possa andare a guidare il paese». Ieri, quando ha spiegato che se vince il No «non cambia niente», Renzi ha aggiunto che sul referendum «c’è stato un eccesso di toni per responsabilità diverse, anche mie».

Che il parlamento non dovesse più «prendere atto» – cioè andare a casa – dell’eventuale vittoria del No, Renzi lo ha già corretto una decina di giorni fa alla Versiliana: «Si vota comunque nel 2018». In più ha fatto capire che magari neanche lui si dimette: «So cosa farò ma non ne parlo più». È costretto a rovesciare completamente la campagna elettorale per il Sì, per la quale pure paga (il Pd) il super consulente americano. Ma ha un problema: si era spinto così avanti nella personalizzazione del referendum, aveva spiegato così bene che si trattava di un voto su di lui e sul suo governo, che ogni correzione è inevitabilmente una ritrattazione. Forte il rischio di disorientare gli elettori: «Se perdo vado a casa», «Non sono io che personalizzo ma i miei avversari», «ho sbagliato a personalizzare».
«Ha sbagliato a personalizzare» adesso lo dice anche David Serra, anche lui ieri a Cernobbio. Il finanziere che di Renzi è amico e sostenitore economico continua però a vedere le cavallette: «Con le regole vecchie abbiamo perso, se le regole non cambiano avremo instabilità e il capitale vola via» dice lui che di mestiere gestisce un fondo speculativo e ha sistemato una sede alle Cayman.

Più aggiornata alla nuova narrazione è la ministra delle riforme Maria Elena Boschi, che pure era stata la prima a spiegare «senza ipocrisie» che il referendum sarà sul governo. Ora dice che «tra Sì è No la scelta è di tutti noi: tutti siamo padri e madri costituenti». Secondo Boschi «bisogna arrivare preparati e informati a questo appuntamento con consapevolezza di quello che siamo chiamati a decidere, che è anche una grande responsabilità». Il governo verrà incontro: «Il nostro obbiettivo principale in queste settimane sarà cercare di dare degli strumenti di informazione per rendere tutti più consapevoli su quello che siamo chiamati ad affrontare e scegliere insieme, per non avere qualcuno che poi il giorno dopo possa pentirsi della scelta fatta magari anche non partecipando e decidendo di rimanere a casa». Si sa che il governo spera in una partecipazione alta per favorire i Sì. La prima tappa di questa operazione pedagogica sarà martedì, quando Renzi tornerà ospite di Porta a Porta. E mentre il conduttore Vespa assicura che «nelle prossime puntate le ragioni del No avranno lo stesso trattamento di quelle del Sì», i dati dell’Autorità sulle comunicazioni continuano a testimoniare uno squilibrio nelle tv (Rai e private) nell’ordine del 60 a 40 in favore del Sì. Anche perché non c’è la par condicio: il governo ritarda nel fissare la data del voto e così non siamo ancora, formalmente, in campagna elettorale. Dalla festa dell’Unità il presidente del senato Grasso si augura «una comunicazione il più possibile uguale per entrambe le posizioni».