Un tutti contro tutti dilagante ed inarrestabile si sta impadronendo della nostra società. Dal conflitto primario elementare tra capitale e lavoro siamo  oggi dentro un conflitto multidimensionale.

Un conflitto tra gruppi sociali, etnie, generazioni, classi e sottoclassi, livelli subnazionali e sovranazionali,  nel quale ciascuno vede nell’altro il responsabile dei suoi problemi e cerca nella rappresentanza politica lo strumento per ottenere maggiore protezione a danno degli altri. Si afferma, così, una nuova modalità del fare politica come contrattazione nella quale identità e paure servono ad aggregare, condizionare, trattare, ottenere consensi. Il governo Lega-M5S è espressione di questa forma che la politica sta assumendo sempre più nettamente. Un governo tra soggetti con differenze anche forti, ma ricomposte ricorrendo alla finzione giuridica di un vero e proprio «contratto», nel quale ciascuno rappresenta la sua parte e lavora per le sue proposte. Da qui un gioco di ruoli e riposizionamenti, una fibrillazione continua, una vita politica che scorre su un filo sospeso, in equilibrio instabile permanente.

Se e quanto questo equilibrio potrà durare è difficile prevedere. Quel che è certo è che la sinistra, anche per le dimensioni e la velocità di questo processo che ha travolto gli argini storici che delimitavano sinistra e destra, è stata – e si è – messa completamente fuori gioco.
Da questo vero e proprio anno zero occorrerà, se ci si riesce, ripartire.

Sarà possibile generare un’onda culturale nuova, una spinta a ricomporre ciò che viene frantumato creando solidarietà laddove proliferano egoismi?

Aggregare soggetti ed avere un avversario è stato storicamente un punto di forza della sinistra, ma oggi quelle sembrano armi spuntate e si stenta ad individuare soggetti da rappresentare ed avversari da combattere.

Eppure le disuguaglianze crescono e, se questo è vero, vuol dire che c’è chi sta meglio e chi sta peggio. Perché allora proprio la sinistra, che di una più equa distribuzione del reddito aveva fatto la chiave per aprire le porte del futuro, è fuori gioco?

Forse è proprio questo il ripensamento da avviare. A cominciare dalla distribuzione primaria ai fattori della produzione. Globalizzazione e conseguente precarizzazione hanno prodotto una flessione della quota di reddito prodotto che va al lavoro ed un indebolimento del diritto a retribuzioni dignitose. Da qui un ridimensionamento del lavoro e della rappresentanza sindacale. Intervenire sui processi che hanno prodotto questo fenomeno è  un compito che la sinistra dovrebbe cercare di riprendersi. Ma non basta e non sarà affatto facile.

Per ricomporre il tessuto sociale è sempre più importante agire nella fase della distribuzione secondaria del reddito, quella che avviene dopo l’intervento dello Stato attraverso il prelievo fiscale da un lato e l’erogazione dei servizi dall’altro. Ma anche questo non basta: come dimostrano le ricerche sulle tante facce del benessere, altre disuguaglianze di genere, di generazione e territoriali si registrano anche a prescindere dal reddito. Ed è proprio il mix tra queste diverse fasi e facce del processo distributivo che determina le disuguaglianze reali, la loro percezione da parte delle persone e dei gruppi sociali, le paure e le insicurezze, il rapporto con la politica, la partecipazione alla vita civile.

Se questa è la nuova complessità, il tema della lotta alle disuguaglianze va allora completamente ripensato. Una sinistra può rinascere solo se ricostruisce teoria e pratica attorno a questo tema.

Oggi l’agenda politica è dominata da proposte che agiranno direttamente proprio sugli aspetti appena indicati: sulle entrate, con la flat tax, che aumenterà ulteriormente le disuguaglianze e sulle spese con il reddito di cittadinanza che dovrebbe attenuarle.

La sinistra, perciò, potrebbe avere ancora un’occasione per rientrare in gioco con proposte coerenti con la sua storia, ma adeguate ai tempi nuovi che abbiamo di fronte. Ma può farlo solo se è capace di ricomporre un tessuto di solidarietà che avvicini le persone invece di dividerle e contrapporle. Questo occorre cominciare a fare sui tanti problemi che abbiamo davanti. Prendiamone ad esempio uno: quello del lavoro che decresce e della disoccupazione che cresce. Qui c’è un nuovo terreno di ricomposizione sociale e politica da esplorare: quello della redistribuzione del lavoro. Si può andare oltre lo slogan «lavorare meno – lavorare tutti» e delineare una politica di solidarietà attiva?

Ad esempio contrattando riduzioni di orario in cambio di nuove assunzioni in una singola azienda, pubblica o privata che sia, o in un gruppo di aziende oppure in uno specifico territorio? Si può aprire una stagione contrattuale nuova in cui incrementi di produttività e risorse vengano destinati a compensare perdite di salario? Un terreno di lavoro come questo appena accennato potrebbe riavvicinare occupati e disoccupati, ridare una funzione solidaristica al sindacato, ricreare una sinergia tra azione del sindacato ed azione dei partiti. Sarebbe, questo, un processo di segno opposto al tutti contro tutti ed un progetto non solo di valore immediato, ma di grande portata strategica capace di aiutare la sinistra a guardare lontano, ad indicare un futuro, a creare speranze.

Entrare nel dibattito che si avvicina tra reddito di cittadinanza e flat tax con una visione ed una capacità propositiva come quella accennata può essere utile in due direzioni: la prima è quella di far emergere le contraddizioni che esistono tra le forze di governo, la seconda quella di creare a sinistra un possibile terreno di incontro ed unità. La sinistra, se non fosse ancora chiaro, di tutto ha bisogno nei prossimi mesi tranne che di limitarsi a discutere delle alleanze per le prossime europee o di rivivere un’altra fase di rincorsa al Pisapia di turno o della riproposizione di liste di emergenza elettorale. Utilizzare l’occasione della prossima legge di bilancio per rialzare la testa e ricominciare a pensare non sarà facilissimo, ma rinunciare a farlo per rinchiudersi ancora una volta nel politicismo e nel piccolo cabotaggio può essere, questa volta sì, fatale per la sinistra tutta. Proviamoci perlomeno.