Sono almeno due gli strumenti di sfruttamento del lavoro dei poveri con un reddito Isee inferiore a 9.360 annui contenuti nel decreto sul sussidio detto “di cittadinanza” che il governo Lega-Cinque Stelle si appresta ad approvare domani. Il lavoro gratuito per otto ore a settimana e la trasformazione del povero messo al lavoro in veicolo di un sussidio alle imprese come nel Jobs Act.

IL PRIMO è il lavoro gratuito per le amministrazioni locali, stabilito dall’articolo 4 (commi 1,2, 6 e 15); il secondo è la mercificazione della condizione del beneficiario del sussidio. Chi lo riceverà per soddisfare a una condizione di bisogno, accetterà senza volerlo di essere trasformato nel veicolo di un incentivo all’assunzione, sottoforma di sgravio contributivo, alle imprese sul modello inaugurato dal Jobs Act di Renzi e del Pd (articolo 8 a e b). Il decreto prevede inoltre un contributo agli enti bilaterali di formazione che permettono al beneficiario di ottenere un lavoro (articolo 18, comma 2). In entrambi i casi saranno contributi non inferiori a 5 mesi e non superiori alla durata del sussidio pari a 18 mesi. Agli enti di formazione andrà metà del contributo, l’altra metà alle imprese. In questi casi, il povero messo al lavoro avrà in cambio un contratto di lavoro di 24 mesi e permetterà, senza volerlo, a imprese e enti di formazione di godere dell’assistenzialismo di stato.

IL LAVORO GRATUITO di otto ore per lo stato, ribattezzato nel decreto «servizio alla comunità», avrà un funzionamento peculiare. È una delle condizioni per beneficiare del sussidio, insieme ai percorsi di formazione e riqualificazione. Per come è scritto il testo, si scopre che riguarderà tutti i membri della famiglia. I maggiorenni dovranno infatti partecipare a questo progetto, se intendono far percepire il sussidio a tutta la famiglia. Dovranno realizzare una corvée per i comuni, partecipando all’organizzazione di eventi culturali, sociali o artistici, ma anche «ambientali»: in pratica sostituire la manodopera regolarmente assunta per svolgere lavori «socialmente utili» al suo posto. E poi anche loro dovranno partecipare a percorsi sull’inserimento lavorativo e per l’inclusione sociale». Il cerchio si chiude: il reddito è un sistema per controllare tutta la famiglia.

«QUESTO DECRETO può creare dei rischi perché mescola la lotta alla povertà con gli strumenti di accompagnamento al lavoro. E poi dare soldi alle imprese mi sembra un controsenso: le imprese non sono benefattori, assumono quando hanno bisogno» ha detto il segretario confederale della Cgil Maurizio Landini, candidato alla guida del sindacato nel corso di un’assemblea di «Lavoro e società». «Non sono contrario al provvedimento, ma contro il modo in cui lo stanno gestendo – ha proseguito Landini – Questo “reddito di cittadinanza” non è diverso dal Jobs Act perché sono dati i soldi alle aziende per assumere. Cosa c’e’ di diverso dal provvedimento di Renzi se scopriamo che finiti i soldi finiscono anche le assunzioni?». Landini critica anche la misura perché prevede che il lavoratore sia obbligato ad accettare un posto di lavoro entro 100 km dalla residenza dopo sei mesi, 250 km dopo un anno, ovunque dopo 18 mesi: «Ci manderei loro». «Un decreto confuso e pieno di incongruenze» sintetizza la segretaria generale Cgil Susanna Camusso. La proposta della Cgil è il «reddito di garanzia», un allargamento dell’attuale «reddito di inclusione» («ReI») e l’estensione di tutti gli ammortizzatori sociali.

ANCORA PRIMA che il governo approvi il decreto su Quota 100 e il sussidio detto «di cittadinanza» la Lega ha attaccato il provvedimento per il mancato «aumento delle pensioni di inabilità e il sostegno alle famiglie». «Forte disappunto» è trapelato dal «Ministero della famiglia» guidato dal leghista Fontana. «Non lo votiamo se non ci sono i fondi» ha confermato il vicepremier Salvini. «Ci metteremo attorno a un tavolo e anche stavolta risolveremo» ha risposto il presidente del Consiglio Conte.

IL CONFLITTO È INIZIATO quando Conte ha annunciato che domani il governo approverà il decreto. Nell’ormai consueta dialettica prima il bastone, poi la carota Salvini ha rassicurato: «Ci sarà tutto quanto. Sono in fase di elaborazione i decreti attuativi». E nel frattempo si continua a fare i conti. I fondi per il «reddito» sono stati ritoccati al ribasso: 5.974 milioni di euro nel 2019 (erano 6.110 milioni), a 7.571 milioni di euro nel 2020 (erano 7.755 milioni), a 7.818 milioni di euro nel 2021 (erano 8.017).