Che gran pasticcio quello del reddito minimo in Italia. Ieri abbiamo appreso che persino i giovani imprenditori, riuniti a convegno a Santa Margherita Ligure, lo propongono come antidoto alla «rivolta» contro la disoccupazione di massa. Dal loro bussolotto è spuntata la formulazione alternativa ai «sussidi a pioggia», quella di un «reddito minimo a tempo» condizionato all’attiva ricerca di lavoro e alla formazione professionale. Una proposta che ricorda la patente a punti, oppure quella di un workfare vincolato all’accettazione di una proposta di lavoro, pena la perdita del sussidio. O forse entrambe.
Jacopo Morelli, presidente dei giovani imprenditori, ha escluso che questo «reddito» sia assimilabile ad un «egualitarismo astratto». Dovrebbe premiare l’individuo e le sue capacità, svincolandole dalle precedenti «prestazioni svolte con l’impresa». Una proposta, ha precisato il giovane leader, «universale e flessibile». Se non fosse che è ancora vincolata alla disponibilità del soggetto disoccupato a lavorare, cioè alla tradizionale proposta neoliberista che non è affatto «universalistica», cioè erogabile a tutti e in maniera incondizionata fino al miglioramento qualitativo della vita di chi percepisce il reddito. Comunque sia, anche questa proposta è stata esclusa dal ministro del lavoro Enrico Giovannini presente al convegno. Il ministro ha segnalato con la matita rossa l’errore di Morelli. «Non so di cosa si tratta – ha detto – è difficile capire da uno slogan». In effetti non si tratta di un «reddito minimo di inserimento», cioè il sussidio diretto alle famiglie povere e non agli individui, già annunciato dal democristiano Letta al momento del suo insediamento. E non si tratta nemmeno del «reddito di cittadinanza» proposto confusamente da Grillo, che in realtà è una specie di «salario minimo» che prevede tra i 600 e i mille euro per tre anni a tutti purché accettino qualsiasi lavoro.
A Radio 24 Giovannini è arrivato a dire che il reddito, comunque declinato, «disincentiva l’offerta di lavoro». In altre parole, piuttosto che lavorare con il reddito gli italiani finirebbero per mangiare «la pastasciutta» secondo l’intramontabile battuta di Elsa Fornero. Praticamente è come dire che i giovani industriali auspicherebbero una vita da frikkettoni a Berlino e non, come ha detto tra le righe Morelli, un workfare  che sanziona i «fannulloni». Giovannini insomma ha preso tempo, rimandando a fine giugno l’annuncio del «piano» per i giovani e ai fondi Ue gli spiccoli per finanziare una misura compassionevole. Una cosa è, forse, certa in Italia: il reddito non si farà, anche a rischio di una «rivolta».