Nel paese che ha appaltato i diritti sociali al mercato e i diritti civili al Vaticano, mentre il parlamento si rifiuta di discutere persino su provvedimenti parziali come i Dico,cresce la mobilitazione dei movimenti queer e Lgbtq. Ultima tappa di un dialogo in corso da tempo, l’assemblea «Altre intimità» prevista alle 10,30 alla Casa internazionale delle Donne in via della Lungara a Roma rilancerà un percorso nato il 15 dicembre 2012 a Bologna nella «giornata di co-spirazione lesbica, frocia, trans e femminista».

Promosso dal collettivo «Kespazio!», l’incontro è stato preceduto ieri dal convegno programmatico «Sfamily day» dov’è stata squadernata una prospettiva tra le più radicali nel panorama dei movimenti anticapitalisti e contro la precarietà. I nomi dei collettivi che compongono la rete «queer» italiana disegnano una cartografia politica ancora troppo poco nota. Partiamo da Milano dove, oltre a «Queer against racism», c’è il collettivo Ambrosia allo Zam rioccupato. A Padova c’è il «Fuxia block», nato dalle studentesse dell’Onda, e poi il «Bios Lab» che ha occupato una palazzina abbandonata dall’Inps, oggi sotto sgombero. A Torino c’è «Sguardi sui generis». A Bologna «Smaschieramenti» dove donne, gay, lesbiche, trans e «froce» producono inchieste sul lavoro affettivo e sulle nuove convivenze. Al Pride bolognese del 9 giugno 2012 «Smaschieramenti» ha organizzato un «esorcismo davanti ad una banca seguendo il modello del performer americano Billy Talen amplificato da Occupy Wall Street negli Stati Uniti: scene di delirio e protesta davanti ai bancomat e agli sportelli «per liberarci dallo spirito demoniaco di chi crea il debito e ci impone di pagare la povertà» racconta una delle attiviste.

A Roma ci sono le «Scosse» e le «Ribellule», a Bari le «Cime di queer». Nomi che rimandano ad un orizzonte che ha sepolto la visione tradizionale della «sinistra» e sta mettendo in crisi la mentalità, e le pratiche, degli stessi movimenti. L’elaborazione di una «politica queer» investe le sfere della vita come della politica, il reddito e il lavoro, il sesso e i linguaggi, l’immaginario e il desiderio.

Aspetti che hanno imposto un confronto con il pensiero femminista. Al convegno di ieri è intervenuta la filosofa Maria Luisa Boccia secondo la quale per realizzare un modello differente di convivenza (una «sfamiglia») da quello imposto dalla politica patriarcale, non bisogna limitarsi alla rivendicazione di una forma giuridica (il matrimonio gay, ad esempio), né invocare una «sovversione permanente» nei rapporti eteronormati: «Bisogna partire dall’esperienza perché la vita eccede sempre le norme». Il punto di vista «queer», ha sostenuto la sociologa Laura Corradi, dovrebbe superare «la teoria della sovversione dicotomica tra i sessi» e istituire forme di «poli-fedeltà» o «poli-amorosità».

La politica queer rivendica da tempo forme di convivenza tra persone che non vivono in coppia e ricorrono a forme di mutualismo per resistere alla precarietà. Per Gianfranco Rebucini, ricercatore all’Ehess di Parigi, il movimento Lgbtq non dovrebbe limitarsi a rivendicare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma allargare il suo programma al reddito minimo, alla depenalizzazione dei reati di prostituzione, al diritto alla casa e chiedere l’estensione dei benefici fiscali ai single. Queste sono le premesse per impostare una riforma radicale del Welfare al di là delle politiche neo-liberiste «della gestione del concreto che rinunciano all’emancipazione». Bisogna riconoscere la singolarità, non accontentarsi della retorica dei diritti civili o cedere alle armate del naturalismo giuridico della Chiesa.