Sarà sempre più difficile l’accesso al sussidio, detto impropriamente «reddito di cittadinanza», per gli stranieri extracomunitari. La commissione Lavoro del Senato, che sta esaminando gli emendamenti al «Decretone reddito-quota 100», ha approvato ieri una norma proposta dalla Lega che vincola l’accesso alla presentazione di una «certificazione» sul reddito e il patrimonio del nucleo familiare rilasciata dallo Stato di provenienza, tradotta in italiano e «legalizzata dai consolati italiani». Saranno esentati i rifugiati politici e chi proviene da Paesi dai quali non è possibile ottenere la certificazione. Il ministero del lavoro avrà tre mesi per stilare la lista di questi Paesi. Una complicazione in più, dopo avere ristretto la platea a coloro che risiedono in Italia da dieci anni, di cui gli ultimi due continuativi. Una misura giudicata, da più parti, incostituzionale.

Nella tela di Penelope dei lavori in commissione, ieri la maggioranza ha ritirato 39 emendamenti, a seguito degli accordi presi in un vertice a palazzo Chigi, e li ha trasformati in ordini del giorno. Alcuni erano stati presentati, soprattutto da parte della Lega, in maniera tattica per modificare, o intralciare, il percorso della misura-bandiera cara agli alleati Cinque Stelle. Dopo il No al processo a Salvini sulla Diciotti alcuni nodi sono stati sciolti. L’obiettivo è portare il testo lunedì in aula al Senato, anche se le modifiche continueranno alla Camera.

SONO SALTATE NORME come il prelievo fino al 10% del sussidio da parte del Comune nel caso in cui il beneficiario sia debitore di Imu, Tasi, Tari o del servizio idrico. Il passo successivo è la schiavitù per debiti. È stata ritirata un’altra brutalità: l’obbligo del servizio civile di un anno per i richiedenti del reddito di cittadinanza, mentre perderà il sussidio il membro della famiglia che si è dimesso dal lavoro, non tutta la famiglia. Accorgimenti che rivelano lo spirito da caserma di questo provvedimento. È stato inoltre eliminato il rinnovo per una volta del “reddito” ed è stato dato il via libera alla cumulabilità degli incentivi per le imprese con il “bonus sud”. La richiesta della Lega di bloccarla aveva lasciato «basita» la ministra “per il Sud” Lezzi (M5S).

PER MANCANZA DI FONDI è saltata una norma, addirittura ragionevole, presentata dai Cinque Stelle, sulla maggiorazione del sussidio pari al 15% in caso di un figlio studente fuori sede.

Oltre all’agevolazione per chi assume lavoratori con il contratto di apprendistato professionalizzante è stata ritirata anche la proposta M5S di riscatto della laurea a scaglioni e la proposta leghista che prevedeva un accredito figurativo alle donne lavoratrici di tre anni per ogni figlio. È stato ritirato l’emendamento pentastellato che permetteva all’ispettorato nazionale del lavoro l’accesso alle banche dati dell’Inps. Nell’ottica inquisitoria del provvedimento, sarebbe stato uno degli strumenti per controllare i beneficiari del “reddito” e determinare la sua decadenza.

TRA LE MODIFICHE ATTESE c’è la revisione dei criteri dell’offerta di lavoro “congrua” per le famiglie con un componente disabile e l’allargamento a 45mila euro dell’anticipo del Tfs tramite finanziamento bancario, di cui potranno beneficiare anche i pensionati prima dell’entrata in vigore delle nuove norme. Ancora da sciogliere sono i nodi sulla modifica della scala di equivalenza per ridefinire, al rialzo, il sostegno alle famiglie numerose e con disabili e sull’anticipo pensionistico delle donne.

In un question time alla Camera il ministro dell’economia Tria ha assicurato che questo reddito «produrrà rilevanti effetti in termini di sviluppo». Una valutazione tutta da dimostrare, basata sulle ipotesi sull’output gap di Pasquale Tridico, nominato alla presidenza dell’Inps. Pensare, oggi, seriamente, che questo mix di sostegno ai consumi e assistenzialismo statale alle imprese – questo è il “reddito” dei populisti – porti alla «ripresa incredibile» vaticinata dal presidente del Consiglio Conte, significa rischiare di ripetere il fallimento del Jobs Act e degli 80 euro di Renzi, tra l’altro più finanziati. Crederlo può tenere alto il morale di un governo imbolsito, ma resta la preghiera che domani spunti il sole di un «anno bellissimo».