Strana, questa Italia: la Guardia di Finanza di Colleferro, il paese del basso Lazio dove è stato ucciso a botte Willy Duarte Monteiro, scopre che le famiglie dei quattro accusati di omicidio volontario – quelle che fino all’altro ieri spergiuravano che i loro erano «bravissimi ragazzi» – hanno frodato il fisco e percepito indebitamente il reddito di cittadinanza, per un ammontare complessivo di 33 mila euro circa rubati allo Stato. Ebbene, la notizia di famiglie che semmai bisognerebbe accusare di essere avvezze alla illegalità si trasforma – da parte delle destre e sui social media – in una gogna per il cosiddetto «reddito di cittadinanza» (che peraltro tale non è) e per chi lo eroga.

Un po’ come successe per i falsi invalidi ai tempi di Calderoli ministro delle Semplificazioni: siccome c’è chi le ruba, tagliamo le pensioni di invalidità, minacciava la Lega del governo Berlusconi IV. Gli stessi che adesso sproloquiano di norme da rivedere in materia di welfare.

Ma è come è stato possibile – si chiedono ora i più scandalizzati – che le famiglie dei fratelli Bianchi, di Belleggia e Pincarelli, sospettati dagli inquirenti di ben altre attività illecite, abbiano ottenuto il contributo previsto per i più bisognosi, visto il loro ostentato alto tenore di vita? E come mai nessuno, lì dove tutti sapevano e conoscevano la nomea dei quattro ragazzi, abbia indagato prima sui loro patrimoni?

Semplice: secondo quanto appurato dalla Guardia di Finanza, le famiglie dei quattro indagati avrebbero omesso di indicare tutte le informazioni dovute, violando le leggi.

E proprio in questi giorni è in atto un braccio di ferro tra carabinieri e Gdf sull’accessibilità delle banche dati ai fini investigativi, riservata al momento solo alle Fiamme gialle per via della modalità con cui l’Italia ha recepito una norma comunitaria.