Il governo conferma la sfida contro tutti gli indicatori e le stime economiche sulla crescita e l’impatto economico della legge di bilancio. Nel rapporto Istat sulle prospettive nel 2018-2019, l’istituto di statistica sostiene che quest’anno il Pil si fermerà all’1,1% (contro l’1,2% prospettato dal governo). E nel 2019 risalirà, ottimisticamente, all’1,3%, ma non abbastanza da centrare le stime del governo dell’1,5%. Senz’altro peggiori sono le stime dell’Ocse che nel suo «Economic Outlook» ha visto il Pil inchiodato allo 0,9% nel 2019, metà della media dell’Eurozona (1,8%). Il drastico rallentamento della crescita, non calcolata dalla legge di bilancio, fermerà il debito intorno al 130% del Pil sia nel 2019 sia nel 2020. Il governo, invece, parla di un calo al 128,1%. «La politica fiscale – spiega il rapporto – sarà espansiva nel 2019 ampliando il deficit al 2,5% del Pil e al 2,8% nel 2020», ben oltre i numeri indicati da Roma (2,4% e 2,1%). Da Parigi arriva poi una bocciatura delle misure chiave della legge di bilancio. Il pensionamento anticipato a quota cento «aggraverà le diseguaglianze tra generazioni», aumenterà la spesa e ridurrà la popolazione attiva e il reddito di cittadinanza darà benefici sulla crescita «probabilmente modesti».

SUL «REDDITO DI PRECARIETÀ», o «sudditanza», l’Istat ha dato un giudizio più sfumato. Nei primi anni questo strumento di «workfare», lavoro e formazione obbligatoria in cambio della differenza tra il tetto massimo di 780 euro e il reddito Isee dei «poveri assoluti» porterà un incremento della crescita fino a 0,3 punti percentuali, agendo come uno shock positivo sui consumi. Le politiche fiscali del governo consentirebbero così un recupero della spesa delle famiglie al +1,2% nel 2019, dopo il crollo al +0,9% toccato quest’anno (dal +1,5% del 2017). Nel medio periodo, le prospettive si fanno più cupe. L’Istat prevede che il sussidio di povertà causerà un aumento dell’inflazione che «annullerebbe progressivamente» gli effetti della misura sull’economia reale. E queste valutazioni si basano sull’ipotesi di una politica monetaria accomodante, in grado di «neutralizzare possibili tensioni sul mercato del credito». Questa è una nota dolente perché – sempre per le stime dell’Istat – un peggioramento delle condizioni del credito, con un aumento dei tassi di interesse di 100 punti base, porterebbe un rallentamento del Pil di 0,7 punti. Questa potrebbe essere una delle possibili conseguenze dell’aumento dello «spread» tra i titoli di stato italiani.

LO SVIMEZ ieri ha rilanciato le sue stime sul «reddito», sottolineando come le risorse così faticosamente raggranellate dai Cinque Stelle nella manovra non bastano. Nel solo Mezzogiorno servirebbero oltre 10 miliardi e per soli nove mesi nel 2019. Una prospettiva devastante, tra l’altro in mancanza di una seria discussione sulle caratteristiche di una misura che resta nebulosa e viva solo negli annunci dei ministri grillini. Per vedere un testo si dovrà aspettare l’approvazione del bilancio dopo Natale e un decreto, non meglio specificato, da parte del governo che punta a fare partire il «reddito» ad aprile 2019, il mese precedente alle europee. Sempre che nel frattempo il governo non sarà stato costretto ad attivare le «clausole» per tagliare i fondi destinati a questa misura, e alla «quota 100». Il mancato rispetto delle stime sulla crescita, il deficit e il debito – al centro della procedura d’infrazione annunciata dalla Commissione Ue – potrebbe infatti portare a questa conseguenza, tra l’altro prevista dallo stesso esecutivo. Sarebbe un caso di austerità auto-inflitta, paradossale per una maggioranza che dice, a parole, di lottare contro l’«austerità».

IL PARADOSSO è ancora più clamoroso alla luce delle simulazioni dello Svimez secondo il quale il governo avrebbe dovuto investire ben altri denari sul «reddito di cittadinanza». In base agli 8 miliardi (comprensivi tra l’altro dei 2,5 del «reddito di inclusione, «ReI»), più uno destinato alla molto annunciata «riforma» dei centri per l’impiego, i beneficiari sarebbero 1,283 milioni famiglie. I nuclei sarebbero composti per il 50% da due adulti e per il 50% da un adulto e un minore e che il 50% abbia la casa. Per coprire tutti gli aventi diritto solo al Sud servirebbero dieci miliardi. Ancora di più per fare qualcosa al Nord e al Centro.

LA REGIONE che ne beneficerebbe maggiormente sarebbe la Campania (3,1 miliardi), seguita da Sicilia (2,7 miliardi), Puglia (1,6 miliardi) e Calabria (1,1 miliardi). A livello provinciale è in testa Napoli con 239 mila dei 391 mila della Campania, in Sicilia 343 mila (a Palermo oltre 100 mila), 214 mila in Puglia (68 mila a Bari), in Calabria 144 mila (37 mila a Reggio Calabria), in Sardegna 107 mila (35 mila a Cagliari), in Abruzzo 44 mila (L’Aquila 11 mila).