Non c’è solo la stella Neymar, simbolo del Paris Saint Germain dello sceicco, del capitalismo selvaggio intorno a una sfera, dei petroldollari disseminati nel pallone europeo come petali di rose, luminoso e mediatico come la Torre Eiffel, oppure i Campi Elisi, o il Louvre. A Parigi, Saint Ouen, nella zona nord, nelle vicinanze del mercato delle pulci più importante di Francia e pure di Saint Denis – il quartiere dello Stade de France, coinvolto due anni e mezzo fa nella tragica notte del Bataclan, la notte più buia della capitale francese con 80 mila spettatori con respiro sospeso durante l’amichevole Francia-Germania per i tre attentatori che si facevano esplodere nelle vicinanze dell’impianto -, c’è il seme del Red Star Football Club 93, l’altro lato della luna del calcio parigino. Terza divisione, cinque Coppe di Francia in vetrina, ultimo passaggio nella massima serie, la Ligue 1, oltre 40 anni fa, una stella rossa al centro di un riquadro verde su maglia verde, un logo che pare ispirato a una nota marca di birra. E un legame a tripla mandata con il partito comunista francese. La leggenda invece traccerebbe una linea di congiunzione tra il logo e la comparsata europea di quegli anni da parte di Buffalo Bill, mentre altre voci mai controllate sul serio attribuivano il conio del logo alla madrina inglese del club, la signora Jenny, insegnante, con dedica alla compagna navale Red Star, che faceva la spola tra Anversa e Coney Island, a New York, con a bordo migliaia di emigranti pronti a conquistare il suolo americano.

Il Red Star era partorito 121 anni fa, secondo club per anzianità di servizio nel Paese (il primo è il Le Havre, che ha conosciuto la gloria per aver coltivato i talenti di Michel Platini) e in testa nella capitale, precedendo il Racing – che negli anni Ottanta provava addirittura a sostituirsi al Paris Saint Germain in Francia e in Europa -, dalla mente di Jules Rimet, uno studente di Giurisprudenza a Parigi che sarebbe divenuto presidente della Fifa, il massimo organismo calcistico mondiale, dal 1912 al 1954 e anche capo della federcalcio francese tra il 1919 e il 1942.. Ma che si segnalava nella narrativa del calcio mondiale soprattutto per essersi inventato con il fratello Jules e un paio di amici la Coppa Rimet, che sarebbe poi divenuta la Coppa del mondo nel 1970. Una delle tribune della piccola enclave del Red Star (non più utilizzata per qualche anno, con la squadra in esilio a 70 km, al Pierre-Brisson di Beavuais, prima del recente percorso inverso), dello Stade Bauer, riuscita sintesi di ruggine e romanticismo di un pallone perduto, porta il suo nome. E i tifosi non hanno dimenticato la lezione di Rimet, un calcio solidale, alla portata di tutti, senza discriminazioni in base alla classe sociale di cui lui stesso era stato vittima, con ingresso vietato in alcuni club sportivi parigini perché figlio di un salumiere, arrivato nella capitale. Dunque, genuino e popolare, un po’ come il rugby, nel weekend allo stadio a piedi, avvolti dalle lamiere della periferia settentrionale parigina, delle banlieu operaia. Se si vinceva, bene, sennò pazienza. Cori e striscioni anche dopo la retrocessione in terza serie dalla Ligue 2, dell’anno scorso. D’altronde il Red Star è riuscito a vivere, a resistere alla Seconda Guerra Mondiale, alla Resistenza all’invasione della follia nazista. Tra le prime a passare nel professionismo, ha contribuito alla nascita del primo campionato nazionale francese, il parente più lontano dell’attuale Ligue 1. Ed è famoso oltre i confini francesi – c’è un museo dedicato al club ad Anversa, in Belgio – anche perché negli anni Quaranta si aggirava dalle parti dello Stade Bauer addirittura Helenio Herrera, il Mago, la storia dell’Inter due volte vincitrice della Coppa dei Campioni circa 20 anni dopo. Era uno stopper, il tipico prodotto della scuola uruguaiana, che rifilava calcioni prima di concedere pallone e respiri all’attaccante avversario. In realtà anche il Red Star è stato costretto a scendere a patti con il calcio moderno, la prima sponsorizzazione è avvenuta lo scorso anno con il magazine di cultura Vice, un processo di “compromesso” con il calcio globalizzato e infarcito di soldi che si era avviato con il 120esimo compleanno del club, con maglia personalizzata prodotta da Adidas. Ma nei tifosi c’è ancora la lotta di classe, la distinzione netta tra “loro”, che vanno allo stadio per l’atmosfera, per divertirsi e vincere senza l’aiuto del denaro “che non è tutto”, rispetto ai ricchi e patinati della capitale, da Neymar a Ibrahimovic, centinaia di milioni di euro tra ingaggi, costo del cartellino dei migliori calciatori europei, voli in prima classe, tanti trofei nazionali, campionati e coppe, senza per ora riuscire a imporsi in Champions League, ovvero la vetrina per gli sceicchi, che certo non sono atterrati a Parigi per il solo glamour o sete di pallone. Invece il Red Star è andato sempre dritto per la sua strada, con retrocessioni o promozioni di categoria che erano appendici di un calcio antifascista, multietnico, che rispecchiasse valori e consuetudini di un quartiere operaio, avvolto nel sociale, nei diritti. Sino a qualche anno fa era una donna, Pauline Gamerre, a ricoprire il ruolo di direttore generale, una specie di Gronchi rosa nel calcio europeo e mondiale. Mentre l’ex capo dell’Eliseo Francois Hollande in qualche occasione si è presentato in trinuna al Bauer con la sciarpa biancoverde, iniziative per “promuovere i valori repubblicani”, trascinando alla partita anche un paio di ministri. E l’ex presidente della Repubblica si è anche interessato alla situazione finanziaria del Red Star, costretto a lasciare il Bauer, ridotto troppo male per un campionato di livello. Forse anche un modo per creare demarcazione con Nicolas Sarkozy (ora sotto le lente dei giudici francesi per sospetti finanziamenti elettorali illeciti nel 2007 in arrivo dalla Libia), che al Parco dei Principi, la casa del Psg, si vede riservare dalla proprietà araba una specie di royal box. Gratis, ovviamente.