C’è il fuoco interno ed è nutrito perché nella maggioranza di dubbi sul Pnrr che il cdm avrebbe dovuto varare ieri mattina ce ne sono parecchi. E c’è il fuoco esterno, quello di Bruxelles, che è più temibile. La speranza di riunire davvero il cdm ieri alle 10, come da agenda, era già svanita venerdì sera: impossibile, non ritenendo la Commissione europea ancora risolti i dubbi sul testo. Riguardano le 4 riforme indispensabili per l’erogazione dei 192 mld del Recovery, ai quali il governo ne aggiunge altri 30 in deficit. Qualche domanda sulla riforma della concorrenza, perché le regole sui concorsi sono un po’ fumose, moltissime sulla riforma del fisco, che è appena accennata e non soddisfa i requisiti che la commissione considera imperativi nel merito né e soprattutto nella tempistica, capitolo fondamentale. Non è l’unico scoglio. Nel Piano italiano ci sono troppe strade, tante da sbattere con un’altra delle condizioni poste dalla Ue: i progetti non devono avere impatto ambientale dannoso.

DRAGHI SI ATTACCA AL TELEFONO. Parla più volte con Bruxelles, poi direttamente con la presidente von der Leyen. I tecnici di Roma e di Bruxelles si tengono in contatto, cercano la quadra. Ma è un compito difficile, le ore passano, il cdm non viene convocato. Draghi mette sul tavolo la sua credibilità personale. Garantisce che i tempi saranno rispettati. Sono passate le 19 quando un laconico comunicato informale annuncia che l’intesa tra il premier italiano e la presidente della commissione è stata trovata. Intesa politica però: bisogna ancora tradurla in impegni concreti. I tecnici si rimettono al lavoro. La riunione del governo però slitta ancora. Alla fine viene convocato per le 21.30.

LA TRATTATIVA SERRATA con Bruxelles non copre il fragore dello scontro interno, che è più duro e più complessivo di quanto non appaia e riguarda sia il merito del Piano sia il metodo. In mattinata Patuanelli, Orlando e Speranza, ministri della ex maggioranza Conte, si sentono al telefono come hanno ormai preso l’abitudine di fare prima di ogni riunione del governo. Convengono nel sentenziare che così proprio non va. Il Piano nel dettaglio non lo ha ancora visto nessun ministro politico, il progetto di governance prevede che nel gruppo ristretto che gestirà il Piano ci sia solo Speranza, tutti gli altri sono i tecnici scelti da Draghi. I gruppi parlamentari sono anche più imbufaliti. Con i tempi ridotti a pochissimi giorni il ruolo del Parlamento non andrà oltre la ratifica.

Nel merito il problema più vistoso è la mancata proroga del superbonus edilizio del 110% per l’«efficientamento energetico». Per i 5S è la riforma di bandiera. Alzano i toni al punto da arrivare alla minaccia esplicita: «Per il M5S sarà molto difficile dire sì al Pnrr senza garanzie su questo punto». Scende in campo persino Conte: «La transizione ecologica è essenziale e non può essere rimandata per difetto di lungimiranza o carenza di volontà politica. Il superbonus è essenziale». I 5S sono tutt’altro che isolati. Il Pd, con Zingaretti in testa, LeU, l’Abi, gli industriali: è un coro nel quale si leva alta quasi come quella pentastellata la voce di Fi. La ministra Gelmini insiste direttamente con il titolare dell’Economia Daniele Franco. La Lega non si sfila e anzi chiede che l’agevolazione sia estesa anche ad esercizi e aziende. Però quei 10 mld tondi non ci sono e alla fine l’intesa passa per un impegno: la promessa di trovarli in tempo per inserire la proroga in finanziaria, dopo l’estate.

Non è l’unico scoglio. Per il Pd e LeU i fondi per giovani, donne e sud sono insufficienti. Quando la tensione con Bruxelles e quella sul superbonus sembrano essersi risolte resta ancora in campo la pressione della sinistra per rivedere quei passaggi. «Sono ore decisive. Bisogna spingere affinché nella versione finale sia prevista la clausola per favorire il lavoro dei giovani e delle donne, e dunque al sud, come condizione d’accesso al Pnrr», twitta il vicesegretario Pd Provenzano.

LA LEGA INVECE EVITA di alzare i toni sulla cancellazione, peraltro prevista, di quota 100. La strategia di Salvini passa per presentarsi come assolutamente disponibile e responsabile sul fronte economico salvo poi puntare i piedi sulla campagna su cui ha scommesso tutto: quella delle riaperture. Infatti, anche se con il Pnrr non c’entra nulla, la Lega insiste soprattutto per tirare su le serrande dei centri commerciali nei week-end, misura che, a sorpresa, è sparita dal dl Riaperture.

ALLA FINE E IN EXTREMIS il Piano arriverà a Bruxelles in tempo. Ma le tensioni di ieri non lasciano spazio a troppo ottimismo. Anche perché non è affatto detto che, quando il testo finale sarà pronto, i capitoli decisivi dei fondi per la transizione energetica e per le imprese troveranno tutti d’accordo, al governo e in maggioranza.