Le divergenze nel Consiglio europeo dei capi di stato e di governo sul piano di rilancio per il post-coronavirus (salvo ricadute) restano grandi e non è detto che saranno risolti entro luglio quando ci saranno due incontri in presenza, e non più online come quello di ieri. Tra il fronte che è stato battezzato dei «paesi ambiziosi» con Italia, Francia, Spagna e altri nove paesi e la Germania e quello dei «paesi frugali» con Olanda, Svezia, Austria e Finlandia non si discute sulla necessità di un fondo e basato sulle obbligazioni da finanziare sul mercato dei capitali, ma sulle sue caratteristiche che potrebbero anche portare a un cambiamento della proposta dalla Commissione Europea e sostenuta dall’asse franco-tedesco.

I PROBLEMI sui quali non c’è per ora accordo sono: il rapporto tra sovvenzioni a fondo perduto (500 miliardi) e prestiti (250); il rimborso dei prestiti a partire dal settennato 2021-2027 e non da quello successivo 2028-2035; gli sconti garantiti ai nordici (Germania compresa) che vorrebbero ridurre il contributo al bilancio europeo al quale sarà agganciato il «Recovery fund»; i criteri di distribuzione delle risorse, su questo il problema non è rappresentato da Italia e Spagna, ma i fondi ad altri paesi meno colpiti dalla pandemia; le condizioni per ottenere gli aiuti legati alle «riforme» ancora in realtà da dettagliare e a investimenti legati a scadenze precise sorvegliate dalla Commissione Ue, in caso contrario i fondi saranno ritirati. Per l’Italia quest’ultima è una condizione delicatissima, data la riconosciuta incapacità di spendere i fondi europei.

NELL’ARCHITETTURA di un accordo da raggiungere all’unanimità, così complessa da rendere interlocutorio anche il prossimo consiglio europeo previsto il 9-10 luglio, al governo Conte potrebbe essere presto presentato un conto. Sebbene il presidente del Consiglio, ancora impegnato a stendere i buoni propositi agli «stati generali», ritenga possibile un «accordo ponte» che anticipi qualche spicciolo in più rispetto agli 11 miliardi di euro attualmente previsti, non è affatto detto che l’anticipo sarà cospicuo, pari almeno all’importo del Meccanismo europeo di Stabilità sanitario (Mes). I soldi europei arriveranno non prima di gennaio 2021, dopo l’approvazione di un accordo sul fondo da parte di tutti i 27 parlamenti dell’Unione. Questo significa che il governo resterà sulla graticola del Mes per mesi: perché non prendere 37 miliardi a tassi negativi e senza condizionalità subito? E perché prendere la parte dei prestiti del fondo per la ripresa che andranno a ingrossare un debito già oggi proiettato verso il 170% del Pil?

DA OGGI, e per il prossimo mese, le trattative continueranno nei bilaterali tra i capi di stato e di governo, tra gli sherpa e gli ambasciatori degli Stati presso l’Unione Europea. Ieri l’incertezza era tale che al presidente degli Consiglio Ue Charles Michel non è stato dato il mandato di stendere una bozza di compromesso. Il fronte nazional-populista di Visegrad – Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia – potrebbe accodarsi. La Polonia è la terza beneficiaria del piano, gli altri saranno compensati con gli scontri nel bilancio 2021-2027. Più difficile sembra il negoziato con i «frugali» del «Nord». «Per le assegnazioni devono essere usati altri criteri e non le statistiche pre-crisi», ha detto il premier olandese Rutte che, come quello svedese Lofven vorrebbe evitare le sovvenzioni attorno alle quali però hanno fatto quadrato Francia e Germania. Sul loro piano da 500 miliardi è stato costruito quello europeo da 750, una cifra più bassa rispetto ai mille prospettati dal commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni «Sono stati evitati i No al Recovery fund» ha detto. Non era scontato, fino a ieri. La finlandese Sanna Martin, socialdemocratica, non è d’accordo con l’intero piano, teme la possibilità di farne uno nuovo e auspica una «ripresa rapida». Quest’ultima è più che altro un auspicio. Per la presidente della Bce Christine Lagarde, che pronostica una disoccupazione al 10%, un mancato accordo potrebbe rendere inutile il tempo comprato con 1350 miliardi erogati dalla Bce. L’accordo ci sarà. Potrebbe non essere sufficiente.

LA CANCELLIERA Merkel, alla guida del semestre Ue dal primo luglio, gestirà la conclusione delle trattative. Ieri Rutte era scettico. Si potrebbe arrivare a settembre. Lasciando il governo Conte scoperto per almeno due mesi. Un altro problema, dopo avere passato dieci giorni a Villa Pamphili a immaginare qualcosa che ancora non c’è e potrebbe essere diverso da quello che è atteso.