Oggi la scatola vuota del Recovery Fund inizierà a essere riempita, con la proposta della Commissione europea. Avrebbe dovuto essere presentata il 6 maggio: è slittata per le difficoltà nel trovare una quadra. A sbloccare la situazione è stata la proposta franco-tedesca presentata a sorpresa da Merkel e Macron: oggi quella proposta verrà ripresa e amplificata dalla presidente von der Leyen.

Resta l’opposizione dei Paesi frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia), che vorrebbero distribuire fondi solo sotto forma di prestito, e quella del blocco di Visegrad, che teme di veder decurtati i fondi del bilancio europeo a vantaggio dei Paesi che lo compongono. Ma quella sfida verrà combattuta in sede di Consiglio europeo a partire dalla riunione del 18 giugno, salvo convocazioni in anticipo.

I 500 miliardi «a fondo perduto» (in realtà in buona parte restituiti tramite aumento del contributo al bilancio dei Paesi aiutati) del piano Merkel-Macron dovrebbero essere raddoppiati con l’aggiunta di Fondi europei ricavati da web tax, plastic tax e altre voci che inizieranno a essere discusse domani e con una quota a prestito. Tasso d’interesse vicino allo zero e restituzione a lungo termine: 7 anni. I sussidi dovranno essere spesi in parte per investimenti nei settori che la Ue indica come strategici, Green Economy e digitalizzazione, in parte per fronteggiare i danni economici provocati dalla crisi Covid.

La sfida dei rigoristi – quelli dei Paesi frugali ma anche quelli della fronda interna alla Germania – per trasformare l’intero pacchetto di sussidi in prestito non passerà oggi e non ha molte chances di affermarsi, anche solo parzialmente, neppure al Consiglio europeo: persino lo storico falco tedesco Schaeuble, ex ministro delle Finanze, si è esposto a favore del piano Merkel-Macron.

Le cose potrebbero essere meno facili per quanto riguarda l’altro cavallo di battaglia dei rigoristi: la richiesta di imporre ai Paesi assistiti «riforme strutturali» per riavvicinarsi ai parametri della restituzione del debito. Pochi giorni fa è stato proprio il consigliere economico di Frau Merkel, Lars Feld, a ipotizzare un Recovery vincolato all’impegno per la riduzione del debito. Il vero vantaggio della quota del Recovery detta impropriamente «a fondo perduto» sta proprio nel suo non pesare sul già disastrato debito italiano. Che resta però la vera bomba pronta a esplodere se non verrà in qualche modo disinnescata.

Lo ha detto molto chiaramente ieri la Bce, pur senza citare l’Italia, nella semestrale Financial Stability Review: «L’ aumento dei livelli di debito pubblico potrebbe anche innescare una rivalutazione del rischio sovrano da parte degli operatori di mercato e riaccendere le pressioni sui soggetti sovrani più vulnerabili». Cioè sull’Italia. Sin qui gli acquisti della Bce hanno evitato il peggio ma «gli spread sovrani potrebbero aumentare se gli investitori valutassero che la stabilità del debito pubblico è peggiorata». La Bce si prepara pertanto a mettere in campo nuovi capitali, dopo i 750 miliardi del Pepp, e a prolungare la sospensione del tetto degli acquisti.

È una mossa, quest’ultima, destinata ad accentuare le tensioni con la Bundesbank, già molto alte. La sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio obbliga infatti la Bce a giustificare entro tre mesi la «proporzionalità» degli acquisti del Quantitative Easing di Draghi, pena l’uscita di Bundesbank da Bce di cui è azionista di maggioranza. La Bce non può farlo senza delegittimare automaticamente la Corte di giustizia europea, che aveva avallato il Qe. La Bundesbank non può ignorare la sentenza di Karlsruhe. Le tensioni mai sopite tra le due banche centrali certo non facilitano. Così, secondo la sempre ben informata Reuters, la Bce si prepara ad affrontare l’eventuale uscita di Bundesbank. Sarebbe qualcosa in più di un terremoto.