C’è già un grande passo avanti fatto dalla Ue, come premessa al Consiglio europeo di questo fine settimana: sono tutti d’accordo sulla necessità di una risposta unita e solidale alle sfide della grave crisi economica e sociale che si è aperta come conseguenza del lockdown per combattere il Covid. Per la Ue le previsioni sul 2020 indicano un calo complessivo del pil di dell’8,7% (solo parzialmente corretto nel 2012, con una previsione di +5,1%) e una impennata della disoccupazione. In poche settimane, c’è stata una svolta drastica: solo a metà marzo, quando il Covid cominciava ad imperversare, la Germania aveva risposto all’ipotesi degli Eurobonds evocando un “dibattito fantasma”. Allora, per la presidente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, i Coronabonds erano solo “uno slogan”.

A MAGGIO, ANGELA MERKEL ha lanciato con Emmanuel Macron il progetto di un piano di rilancio (valutato a 500 miliardi). La Commissione ha poi alzato il tiro a 750 miliardi con il piano battezzato Next generation Eu, attraverso un prestito comune, una vera novità: il momento è favorevole, perché i tassi di interesse sono bassissimi (per la Germania addirittura negativi), inferiori al tasso di crescita, mentre la Ue non ha debiti e gode della notazione più alta, AAA (mentre alcuni stati membri, non solo la Grecia ma anche l’Italia, hanno una notazione molto bassa). La svolta della Germania è stata fondamentale. Un ex ambasciatore francese ha evocato il peso che ha avuto l’industria dell’auto per determinare questo drastico cambiamento: quando i fornitori dell’Italia del nord si sono trovati bloccati dal lockdown, l’industria dell’automobile tedesca ha valutato la grande dipendenza rispetto alle industrie della Lombardia e del Piemonte, in particolare. Un crollo dell’Italia del nord avrebbe indotto una crisi del settore in Germania. “E’ nell’interesse della Germania che la Ue non crolli”, ha spiegato Angela Merkel.

IL CONCETTO CHE “I PIÙ FORTI devono aiutare i più deboli”, come ha riassunto la Germania, che ha la presidenza semestrale del Consiglio, è condiviso, ma molti paesi, soprattutto i cosiddetti “frugali” sottolineano che questo sforzo finanziario deve essere “nell’interesse di tutti”, cioè tutti devono rispettare gli obiettivi della Ue, che sono la modernizzazione attraverso la digitalizzazione e il Green New Deal. E, aggiungono i più severi – Olanda in testa – i paesi devono salvarsi da soli, cioè fare le riforme necessarie per far quadrare i conti, prima di chiedere aiuto agli altri. La Finlandia contesta l’ammontare del Recovery Fund e propone di ridimensionarlo, con 100 miliardi in meno (di sovvenzioni).

LE DIVERGENZE RIGUARDANO il come mettere in atto questa risposta. La Commissione, seguendo l’iniziativa franco-tedesca del 18 maggio, il 27 maggio ha proposto un piano di rilancio di 750 miliardi, dopo aver già messo sul tavolo 540 miliardi del Mes, come prima misura di emergenza immediata, con la condizione di spenderli per fronteggiare la crisi sanitaria. Contemporaneamente, la Bce ha già fatto parte del lavoro, mettendo 1600 miliardi per l’acquisto di obbligazioni degli stati più colpiti dalla crisi. Questo programma è destinato a continuare almeno fino a fine 2021.

I “frugali” – Olanda, Danimarca, Austria, Svezia, a cui si aggiunge su alcuni punti la Finlandia – insistono su una diversa ripartizione tra “prestiti” e “trasferimenti”, che nella proposta della Commissione sarebbe di 250 e 500 miliardi (310 di sussidi agli stati, 55 per i comuni e gli ospedali, 40 per raggiungere la neutralità climatica, 15 per l’agricoltura, 46 per la Bei, 9,4 per preparare i servizi sanitari a far fronte a nuove pandemie, altri 3 miliardi per aiuti mirati).

Quali condizioni per ricevere i finanziamenti? L’Olanda ha già una mezza vittoria, con la proposta del presidente del Consiglio Ue, il belga Charles Michel, di sottoporre al voto dei capi di stato e di governo dei 27 tutti i piani di rilancio nazionali, con un voto a maggioranza qualificata: L’Aja vorrebbe un voto all’unanimità (cioè con il diritto di veto). Il Next Generation Eu dovrebbe anche essere sottoposto ad alcune condizioni: passando per il bilancio Ue, dovrà sottostare alle regole di questo.

Qui rientra la questione del rispetto delle regole di governance sul deficit e sul debito (Maastricht è sospeso, ma solo temporaneamente). Ma anche il rispetto degli obiettivi del Green New Deal: la Commissione vorrebbe maggiori ambizioni nella lotta al cambiamento climatico, alzando dal 25 al 30% la percentuale di risorse da destinarvi, per raggiungere la neutralità carbone nel 2050.

POLONIA E UNGHERIA minacciano il veto contro la condizionalità legata al rispetto dello stato di diritto: il Parlamento europeo chiede che questo punto sia inderogabile, i “frugali” sono determinati su questo punto che deve comportare la sospensione dei finanziamenti del bilancio Ue per i paesi che non rispettano i valori della Ue.

C’È POI LA QUESTIONE dei tempi, su due aspetti. I “frugali” insistono sull’eccezionalità del piano di rilancio (raggiunti dalla Germania), che vogliono limitare chiaramente nel tempo. L’Italia chiede che duri almeno 3 anni. Poi ci sono i tempi della democrazia, per l’approvazione: l’accordo a Bruxelles dovrà essere votato dai parlamenti dei 27 paesi, per autorizzare la Commissione ad accendere un prestito sui mercati (attraverso una modifica del tetto delle risorse proprie, del montante che ogni stato versa alla Ue).

Ci vuole l’unanimità al Consiglio, poi un voto al Parlamento europeo e 27 voti nazionali. Se c’è accordo, che deve riguardare anche il bilancio pluriannuale Ue 2021-27, questo percorso durerà al meglio tra settembre e dicembre. Il Parlamento europeo potrebbe già votare la prossima settimana in seduta plenaria sul finanziamento-ponte, a partire dal bilancio Ue attuale. I finanziamenti del Recovery Fund dovrebbero venire distribuiti al 70% sulla base del tasso di disoccupazione tra il 2015 e il 2019 (cioè su dati pre-Covid), mentre il restante 30% sulla base del calo del pil nel 2020-21, ma questa parte potrebbe non arrivare prima del 2023.