A causa della “moltiplicazione di nuove crisi” e per “la persistenza di vecchie crisi che non sembrano mai morire” il 2013 è stato un anno record per il numero di rifugiati nel mondo, 51,2 milioni, cioè una cifra che non era mai stata cosi’ alta e che riporta il mondo ai dati della seconda guerra mondiale. Lo ha rivelato Antonio Gutierres, Alto commissario per i rifugiati dell’Onu, nella Giornata mondiale dedicata a questo dramma. Nel 2013 ci sono stati 6 milioni di rifugiati in più rispetto al 2012. E mentre l’Unione europea discute su come rafforzare Frontex e come utilizzare meglio il nuovo strumento di controllo Eurosur, con l’Italia che chiede ai partner di condividere il “fardello” e istituire dei guardiacoste comunitari (e i cittadini europei votano estrema destra per paura dell’ “invasione”) i dati dell’Unhcr ricordano che l’86% dei rifugiati lo sono nei paesi in via di sviluppo.

Sono le guerre a creare questa figura. Ci sono 2,5 milioni di nuovi rifugiati siriani e 6,5 milioni sono rifugiati interni dall’inizio del conflitto (cioè hanno dovuto abbandonare la loro regione di residenza per trovare rifugio in un’altra zona del paese). La comunità internazionale “deve trovare una soluzione” per mettere fine ai conflitti in Siria, Sudan del sud, Repubblica centrafricana e altre guerre minori, ha ricordato Gutierres, se si vuole frenare la tragedia dei rifugiati. Ci sono tre categorie di rifugiati, ricorda l’Alto commissariato dell’Onu: quelli che sono spinti all’esilio, coloro che presentano domanda di asilo e i rifugiati interni nei singoli paesi. Per quanto riguarda l’esilio, il 2013 è stato un record, che ha spinto a cercare rifugio all’estero cittadini di paesi come Afghanistan, Siria, Somalia: si tratta di 16,7 milioni di persone. Il maggior numero di rifugiati in esilio è concentrato nell’area Asia-Pacifico, con 3,5 milioni. 2,9 milioni di rifugiati all’estero vivono in Africa sub-sahariana e 2,6 milioni in Africa del nord e Medioriente. Anche le domande d’asilo hanno battuto dei record l’anno scorso. Ne sono state presentate 1,1 milioni, il 15% in più rispetto al 2012, un record in dieci anni, una cifra che si aggiunge all’1,2 milioni di richiedenti asilo che aveva presentato domanda gli anni precedenti e che ancora aspettano una risposta. La Germania è diventata il primo paese al mondo al quale vengono rivolte le domande d’asilo e ha superato nel 2013 gli Stati uniti: Berlino ha ricevuto 109.600 domande d’asilo, un aumento del 70% rispetto al 2012. Le principali nazionalità sono russi, siriani e serbi. I russi sono stati 14.900, quadruplicati rispetto al 2012, i siriani sono raddoppiati (11.900) e i serbi cresciuti del 50% (14.900). Gli eritrei che hanno chiesto asilo in Germania erano 650 nel 2012 e sono stati 3600 nel 2013. Seguono gli Usa, con 84mila richieste di asilo (in crescita del 19% in un anno), il Sudafrica (70mila, +15%) e la Francia, con 60.200 domande presentate, in crescita del 9% rispetto al 2012. Il grosso dei rifugiati sono dei rifugiati interni, principalmente nei paesi in guerra: sono stati in tutto 33,3 milioni nel 2013, 7,6 milioni in più del 2012. Quattro paesi sono i più implicati: la Siria, con 6,5 milioni, la Colombia (5,3), la Repubblica centrafricana (2,9) e il Sudan (1,8).

In questo contesto, si ridimensiona l’indignazione italiana e europea verso una presupposta “invasione”. L’Italia, che dal primo luglio avrà la presidenza semestrale del Consiglio Ue – e che ha visto un aumento degli arrivi in aumento dell’823% nei primi 4 mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2013, con più di 26mila sbarchi – chiede una revisione di Dublino (i trattati che regolano l’immigrazione), concepiti negli anni ’90, ha spiegato a Parigi il sottosegretario Sandro Gozi giovedi’, “mentre ora la situazione è differente”. Nel documento finale del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno, in preparazione, viene fatto riferimento al “rafforzamento dell’attività di Frontex”, la polizia di frontiera Ue e della “reattività verso la rapida evoluzione dei flussi migratori, con il pieno utilizzo del nuovo sistema di sorveglianza Eurosud”. L’Italia chiede che il Mediterraneo venga percepito come una “frontiera” esterna della Ue.