Una settimana fa il fumettista Musa Kart è stato condannato a tre anni e nove mesi di prigione nel processo al quotidiano Cumhuriyet, insieme a 14 colleghi. L’accusa, «aver favorito il terrorismo». Ieri Kart è stato insignito dell’International Editorial Cartoons Prize.

Un premio che sfida l’annichilimento della libertà di stampa in Turchia, primo paese al mondo per numero di giornalisti dietro le sbarre. Oltre 170, arrestati con accuse diverse: propaganda terroristica, incitamento al golpe, diffusione di notizie false, insulti al presidente Erdogan. In alcuni casi si è già arrivati a sentenza: la più eclatante è stata emessa a febbraio, ergastolo aggravato per sei giornalisti tra cui i fratelli Altan.

E mentre si aprivano le celle, si sbarravano le porte delle sedi dei media. Dal 15 luglio 2016 per decreto governativo sono stati chiusi 200 media, tra agenzie stampa, radio, tv, quotidiani, siti: 2.500 giornalisti sono rimasti senza lavoro.

In vista del voto anticipato del 24 giugno di stampa libera non c’è quasi traccia: se poco prima del fallito golpe il più grande quotidiano, Zaman, veniva commissariato diventando ennesima voce del governo, un mese fa una corporazione pro-governativa acquisiva il gruppo editoriale Dogan, proprietario del giornale Hurriyet e delle tv Cnn Turk e Kanal D.