E così il giorno nero per il premier è arrivato, ed è più nero del previsto. Non si tratta di “crescita piatta”, come si poteva arguire dalle previsoni dei giorni scorsi, né siamo negativi solo di un decimale, come lo stesso Istat aveva ipotizzato a fine giugno (in una forbice che si ampliava addirittura fino a un ottimistico +0,3%). No, il secondo trimestre del 2014 – il primo per intero a guida Renzi – segna un pesante -0,2%, ma soprattutto ci fa tornare in recessione. Perché è il secondo trimestre consecutivo negativo (il primo aveva registrato -0,1%).

Quindi improvvisamente si aggrava il quadro economico, costringendo di fatto Renzi a invertire le priorità: non più solo attenzione, come è stato fino a ieri, alle riforme, ma l’elaborazione di un vero e proprio “piano di guerra” per la crescita, perché l’Europa, la Bce, non ci perdoneranno ulteriori crolli. Va ricordato infatti che il Def, l’ultimo documento ufficiale che contiene le stime del governo, segna per il 2014 crescita +0,8%, e fissa per questo il rapporto deficit/Pil al 2,6%. Quasi lunare.

Adesso, essendo quasi impossibile che l’anno si chiuda sul +0,8% – se non a zero, addirittura diversi economisti prevedono un 2014 negativo – è chiaro che sul fronte dei conti pubblici si dovrà tentare di non sfondare il 3%: altro che flessibilità e uso di quello 0,4% di margine, che il nostro premier citava di continuo non appena insediato. È più che probabile, al contrario, che serva una manovra pesante, nonostante ancora Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ne neghino la necessità.

Questa, per il nostro Paese, è la terza recessione tecnica in cinque anni. Mentre, se fosse l’intero 2014 a chiudersi con una crescita negativa, sarebbe il terzo anno di seguito che si conclude “in rosso”.

E questo mentre altri paesi si riprendono, seppur con fatica. Nello stesso periodo, ad esempio, la nostra “compagna di banco” nelle difficoltà economiche, la Spagna, chiude con un molto lusinghiero +0,6%. Per non parlare dei “primi della classe”, Usa e Gran Bretagna, che viaggiano rispettivamente sul +1% e +0,8% (ancora più evidente la crescita tendenziale: +2,4% Usa e +3,1% Regno Unito, contro il nostro magro, e ancora negativo, -0,3%).

Scendono in valore, ci informa l’Istat, tutti e tre i nostri grandi comparti: agricoltura, industria e servizi. Non ci aiuta la domanda interna, che è a impatto «nullo»: insomma, gli 80 euro per ora non hanno dato la volata ai consumi; e ancor meno ci soccorrono le esportazioni, che anzi risultano in saldo negativo.

Le stime preliminari Istat a giugno 2014 rispetto a maggio, indicano un crollo per l’export italiano verso i Paesi extra Ue, con un vistoso -4,3%. L’export insomma, dopo aver messo a segno performance positive grazie al made in Italy, frena e trascina al ribasso il Pil. E il contesto internazionale non aiuta. La stessa Germania registra a giugno un brusca frenata per gli ordinativi alle fabbriche, inaspettata: sul mese segna un -3,2% mentre le stime degli analisti vedevano un rialzo dello 0,9%.

L’Europa per il momento non ci sanziona, ma è ovvio che terrà sempre più gli occhi aperti sui nostri conti. «Il Pil italiano peggiore delle attese ritarda di nuovo la ripresa e avrà un impatto negativo sulle finanze, ma è troppo presto per fare valutazioni sul deficit», afferma Simon ÒConnor, portavoce del commissario Ue agli affari economici.

Ma questi dati negativi, purtroppo, non fanno male solo all’immagine del governo: impatteranno parecchio sulle nostre vite, dato che si dovrà stringere a questo punto ancor di più il cordone della spesa pubblica, visti gli impegni che l’Italia è chiamata a onorare nel 2015 e 2016 sul fronte del deficit, e soprattutto su quello del debito (vedi alla voce Fiscal compact).

Bisogna aspettare le stime Ue di novembre per sapere cosa accade al deficit (anche la Ue era stata ottimista, aspettandosi un +0,3% per questo trimestre): quelle stime saranno il metro con cui si valuterà anche la legge di stabilità 2015 che a ottobre deve essere consegnata a Bruxelles. Se il deficit sarà troppo vicino al 3%, arriverà lo stop per qualunque nuova spesa che non sia adeguatamente coperta. Non solo: la Commissione farà rapporto al Consiglio Ue, avvertendolo dello scostamento dell’Italia. E con conti particolarmente negativi, potremmo temere la visita della troika, come è già avvenuto in paesi come la Grecia o Cipro.

La Ue ieri ha anche apprezzato l’impegno di Padoan ad «accelerare le riforme». Il Wall Street Journal, ieri in un fondo stigmatizzava la «recessione interminabile» dell’Italia, indicando a Renzi due riforme urgenti: lavoro e giustizia civile. E sul lavoro, c’è già una fetta della maggioranza che parte lancia in resta: l’Ncd di Alfano ieri è tornato a chiedere la cancellazione dell’articolo 18.