Paolo Bertetto, professore di “Analisi del film” alla Sapienza di Roma e uno dei maggiori teorici cinematografici italiani, con “Il cinema e l’estetica dell’intensità” pubblicato per la collana “Cinema” di Mimesis (pp. 444, euro 28) conclude la sua ricerca sulla teoria del cinema, iniziata con “Lo specchio e il simulacro” e continuata con “Microfilosofia del cinema”. Il terzo volume analizza la sensazione nel cinema, la capacità dei film di produrre emozioni sviluppando l’idea di intensità, che è un concetto forte, in grado di operare sia nella relazione del film con lo spettatore, sia sotto il profilo della forma e del dinamismo del testo. “L’intensità è la forma che la sensazione assume nel film. – scrive Bertetto nell’introduzione – Ma è anche l’orizzonte emozionale e concettuale che fa vivere più chiaramente l’estetica del film, cioè è l’orizzonte in cui l’estetica del film appare nella sua configurazione più significativa. […] L’intensità è la componente più segreta e più rilevante della creazione artistica, quella che unisce insieme l’opera e il fruitore, i flussi testuali e i dinamismi psichici.”. Oltre a una parte teorica, il libro ha anche una corposa parte analitica che studia i modi diversi di creazione dell’intensità nei film. E l’autore ha scelto alcuni titoli-chiave che esemplificano il suo percorso teorico. Analizza quindi la sensazione e l’intensità di “Arancia meccanica” e “Vinyl”, i flussi d’intensità di “Sentieri selvaggi”, la molteplicità di stili in “Quarto potere”, l’intensità delle ombre di “Schatten”, la volontà di stile e l’intensità in Lang e in particolare in “M”, le figure del desiderio e dell’inconscio nel cinema di Buñuel e l’immaginario e l’enigma in “Bella di giorno”, l’immagine simulacro de “Il gattopardo”, la scrittura intensiva di “Zazie nel metro”, la differenza e l’intensità nell’avanguardia filmica, l’intensità come visione pura, il montaggio ipertensivo di “Zero Dark Thirty” e “Bourne Ultimatum”.

 

É piuttosto insolito trovare alla fine di un romanzo una discografia invece di una bibliografia. Ma tant’è Luca De Pasquale è uno scrittore e musicologo napoletano che oltre a un blog letterario, gestisce un sito web specializzato in basso elettrico e hard rock e per la raccolta di racconti “Professione Drop-Out” (pp. 154, euro 14) pubblicata da Homo Scrivens non poteva congelare temporaneamente la sua estrema passione per il basso e il rock. Che impregna le storie che racconta sia dal punto di vista del contenuto che della forma. Le oltre venti “storie di ammortizzatori sociali, basso elettrico e contrabbasso” come le definisce l’autore sono scritte con ironia e irriverenza sfruttando le potenzialità destabilizzanti delle sonorità del punk e del post-punk contro la realtà precaria dei nostri giorni. Il protagonista Aiace Pellicciotto, un quarantenne napoletano disoccupato ha un’anima post-punk e hard rock, è un drop-out convinto, un bassista mancato che rifiuta ogni genere di convenzioni. La narrazione si snoda tra racconti brevi di esperienze vissute o solo immaginate e il tono grottesco rafforzato da continue citazioni musicali è quello giusto per comunicare il disagio di Aiace collocato in una realtà priva di riferimenti e costretto dalla perdita del lavoro a ricominciare da zero. Un percorso segnato dal destino ma anche dalla vocazione. 

Nonostante il titolo “Bob Dylan – Cantautore da Nobel” (Guida Editori, pp. 183, euro 18) sia inequivocabile, gli autori Antonio Tricomi e Gianfranco Coci ci tengono a sottolineare che non si tratta di un instant book. In realtà il lavoro sul grande cantautore americano è iniziato alcuni anni fa, poi naturalmente l’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura ha accelerato la pubblicazione del testo. E poi basta sfogliare il libro che si legge con piacere e un’inevitabile nostalgia per tutto quello che Dylan ha rappresentato, per rendersi conto di come la scrittura agile e fantasiosa e l’organizzazione del percorso narrativo scaturiscano dalla naturale sedimentazione di suggestioni, ricordi e passione di due fan ma senza la retorica che in questi casi è sempre in agguato. Consapevoli che sul poeta/musicista/artista a tutto tondo, sul suo ruolo di padre della musica popolare contemporanea sull’asse folk-rock, sulla sua longevità artistica è stato scritto e detto quasi tutto, Tricomi e Coci hanno scelto la strada del racconto rapsodico di “due vecchi amici che si scambiano opinioni e impressioni sul musicista che ascoltano da sempre”. E lo fanno con una valanga di citazioni di dischi, concerti, testi, musiche, esecuzioni, dichiarazioni pubbliche, vita privata. Senza trascurare i rapporti di Dylan con i maestri e i colleghi e le influenze che ha avuto sui musicisti successivi. 

Annibale Ruccello è stato uno dei più precoci e innovativi talenti della scena teatrale partenopea ed è scomparso prematuramente a soli trent’anni nel 1986. A trent’anni dalla morte l’editore napoletano Kairós ha pubblicato per la collana Teatro “Serie Oro” ideata e diretta da Anita Curci, il volume “Annibale Ruccello” di Andrea Jelardi (pp. 217, euro 18) che come recita il sottotitolo “Una vita troppo breve, una vita per il teatro” lo rievoca attraverso la sua vita brevissima e le tappe della sua carriera di autore, attore, regista e antropologo, svoltasi in poco più di un decennio a cavallo tra gli anni ’70 e ‘80 ma in un periodo storicamente e culturalmente critico quando tuttavia a Napoli prese forma una nuova drammaturgia e iniziò una “rinascita napoletana”. La sua biografia a partire dagli esordi e dal decisivo incontro con Roberto De Simone s’intreccia con l’analisi dettagliata delle sue opere (“Le cinque rose di Jennifer”, “Weekend”, “Notturno di donna con ospiti”, “Ferdinando” il suo testo più amato e rappresentato), diventate poi dei capisaldi del teatro contemporaneo, e con le testimonianze dei critici dell’epoca e di quanti lo hanno (ri)scoperto e rivalutato nei decenni successivi. Scrive nella prefazione Isa Danieli, protagonista del primo “Ferdinando”: “Il vulcano Annibale mi aveva già mostrato i suoi lapilli incandescenti ma m’incendiò con la sua lava di parole con quel titolo, quel nome tondo e antico che corrisponde a Ferdinando”.