Il candidato al momento più accreditato per gestire i 209 miliardi di euro del «Recovery fund» europeo è il Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE). Era a questo tavolo, istituito nel 2012 ma in realtà sconosciuto, che si è riferito il presidente del Consiglio Conte al termine della trattativa nel consiglio europeo sul piano per la ripresa parlando di una «task force» che, a molti, ha ricordato una riedizione della «commissione Colao» ormai dimenticata. Il comitato si presenta molto numeroso e composito visto che è composto da Palazzo Chigi, dai ministeri e dagli enti locali. Dovrebbe essere presieduto da Conte, coadiuvato dal ministro degli affari europei Enzo Amendola e dovrebbe accontentare tutti i partiti della maggioranza che hanno almeno un ministro nella compagine governativa. Il Ciae prevede una sotto-task force denominata «Comitato Tecnico di Valutazione» che dovrebbe assicurare il coordinamento tecnico tra i ministeri e gli altri soggetti. Il tutto dovrà interfacciarsi con la Commissione Ue che, a sua volta, ha pensato di istituire un’altra «task force».

A questa complicata infrastruttura manca una gamba parlamentare. Ieri il ministro per gli affari regionali Francesco Boccia ha alluso a una collaborazione tra governo e parlamento dove esistono le commissioni permanenti tra Camera e Senato «ricche di idee e di proposte». A Forza Italia non è sembrato sufficiente e ieri ha presentato una proposta di legge per istituire una commissione bicamerale dove affrontare l’assalto alla diligenza che avverrà nei prossimi anni riscoprendo uno spirito bipartisan. La commissione dovrebbe essere composta da quindici deputati e quindici senatori e dovrebbe essere presieduta da un esponente dell’opposizione. Il suo compito sarebbe quello di «indirizzare il governo nell’utilizzo delle risorse europee». Sulla costituzione di questo organismo non ci sarebbero opposizioni in una parte della maggioranza. Anzi, potrebbe essere un modo per dividere i berlusconiani e i meloniani dai leghisti. Perlomeno ieri Salvini ha detto chiaro e tondo che non vuole sentire parlare di bicamerali. «Sa tanto di vecchio, di politica partitica, di tempi lunghi» ha detto. La prospettiva di Salvini è più a corto raggio ed è basata sulla richiesta di condoni fiscali e sulla pace fiscale per il 2020. «Di quello che accadrà nel 2021, onestamente, ce ne occuperemo l’anno prossimo» ha aggiunto. «Se fosse paritetica, o presieduta dall’opposizione, la commissione sarebbe un segnale che non c’è volontà di procedere a colpi di maggioranza» ha detto invece Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia che condivide il progetto con Forza Italia.

Le complicate alchimie sui tavoli e le bicamerali sembrano avere acuito lo scontro sul Mes. Più prima, che poi, Conte dovrà dipanare il nodo che oppone Pd-Iv e una parte di Leu ai Cinque Stelle. Nelle ultime 48 ore palazzo Chigi ha spento le luci. Prima di addentrarsi nel ginepraio della governance nazionale dei 209 miliardi dovrà sminare il terreno dove M5S fa fronte con Salvini e Meloni.