All’improvviso di crisi non parla più nessuno. I giochi non sono ancora fatti, bisogna passare per il consiglio dei ministri convocato per martedì prossimo e prima per il vertice a tre che potrebbe svolgersi lunedì oppure nella stessa giornata del cdm, subito prima della riunione del governo. Ma la volontà politica di andare avanti, per la prima volta dalla notte delle elezioni, è reale e palpabile da entrambe le parti. Conte, il premier messo all’angolo dalla tenaglia formata da Salvini e Di Maio, dà la sua benedizione. E’ contentissimo, fanno sapere i suoi. Anzi auspicava l’incontro per avviare una ripresa di rapporti anche sul piano personale.

In realtà restano in sospeso parecchi nodi. Il primo è il rimpasto, di cui nessuno parla troppo apertamente ma che è una delle poste in gioco. Salvini allude, però: «Se ci fosse bisogno di una revisione del contratto e di una squadra più compatta io sono disponibilissimo». La partita del ministero per gli Affari europei si chiuderà dopo i ballottaggi di domenica e in pole position c’è l’attuale sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, leghista. Più complessa l’indicazione del commissario europeo. Per Salvini è fondamentale bloccare la corsa di Moavero, il candidato più forte, perché in caso contrario i rapporti con la Ue sarebbero tutti in mano a figure vicine al Colle: Conte, Tria e l’attuale ministro degli Esteri. La candidatura alternativa più robusta è quella di Giorgetti, la cui approvazione da parte del parlamento europeo però non è affatto garantita e che, in ogni caso, lascerebbe vacante un casella molto importante nel governo. Quanto ai capitoli spinosi, i quattro ministeri traballanti, si vedrà. I ministri più a rischio sono Toninelli, il vero bersaglio grosso, e la responsabile della Sanità Grillo. Più blindati il ministro dell’Ambiente Costa e quella della Difesa Trenta. Poi ci sono i temi bollenti come la Tav e le autonomie sui quali nessuna intesa è stata raggiunta.

Eppure il vero scoglio è quello partita con l’Europa in nome della quale, per ora, Salvini ha optato per la conferma dell’alleanza con Di Maio. Nonostante, nei numerosi colloqui con Berlusconi dei giorni scorsi, si fosse sbilanciato al punto che il cavaliere aveva già dato per certo, con gli intimi, il voto in settembre. E nonostante lo scarso entusiasmo dei suoi alti ufficiali, al quale ha dato voce ieri il ministro Centinaio, un fedelissimo: «Con i 5S possiamo ancora lavorare, ma l’amicizia è finita con la campagna elettorale». Se Centinaio la pensa così ci si può figurare Giorgetti.

Ma a decidere è Salvini, che vuole andare avanti con i 5S perché sa bene che, in caso contrario, resistere all’assedio europeo sarebbe molto più difficile e la tempesta sui mercati, con la procedura avviata e senza governo, diventerebbe un uragano tropicale. Ma l’ultima parola non è affatto detta, la partita con l’Europa è un work in progress e il leghista ha tempo sino a luglio per decidere se difendere la legislatura, con l’obbligo a quel punto di andare fino in fondo nella ricerca di una mediazione con Bruxelles o nella rottura, con il rischio in entrambi i casi di pagare poi un prezzo pesante nelle urne, oppure passare all’incasso, prima dello showdown con la Ue. Siamo ancora alle schermaglie, con Giorgetti e lo stesso Salvini impegnati a difendere l’uso di quei minibot che Draghi ha bocciato senza appello, pur confermando che non si tratterebbe certo di una moneta alternativa. Ma la sfida con la Ue è appena iniziata e prima di agosto Salvini dovrà scegliere una volta per tutte se sostenerla con questo o con un altro governo.