Sono servite nove pagine per riportarlo tutto e servirà di conseguenza una scheda elettorale extralarge per contenere il quesito proposto da sette consigli regionali a trazione leghista (il Veneto è stato escluso per un vizio di forma). Ma solo se, a gennaio, la Corte costituzionale dovesse dare il via libera al referendum elettorale. L’ufficio centrale della Cassazione ha dato il primo – quasi automatico – ok e ha definitivamente indicato il titolo della consultazione popolare: «Abolizione del metodo proporzionale nell’attribuzione dei seggi in collegi plurinominali nel sistema elettorale della camera dei deputati e del senato della Repubblica». Calderoli, ideatore del tentativo leghista di far saltare la riforma elettorale alla quale lavora la maggioranza giallo-rossa, esulta come se la partita fosse chiusa: «È il big bang del cambiamento, la bomba atomica che esplode spazzando via tutti i rigurgiti proporzionalisti». Ma i dubbi sull’ammissibilità del referendum restano; la Corte costituzionale dovrà decidere se l’eventuale vittoria dei sì non lasci il paese senza una legge elettorale applicabile, in questo caso fermerebbe il referendum.

Intanto vanno avanti gli ammiccamenti tra partiti, in attesa che la maggioranza depositi – ha promesso entro il 20 dicembre – il testo della sua proposta di riforma della legge elettorale. È proprio la Lega a mandare segnali di disponibilità. «Siamo pronti a discutere del nostro modello, ma anche di altri altrettanto utili alla governabilità, con tutti, parti momentaneamente al governo compresi», dice Salvini. Il Pd ha orecchie attente. Resta contrario al referendum. Anzi lo considera inammissibile, spiega il deputato capogruppo in commissione affari costituzionali Ceccanti che però aggiunge che una nuova legge elettorale va scritta «a partire dalla maggioranza ma in spirito di apertura verso tutti». E il vice segretario Orlando all’Huffigtonpost chiarisce: «La riforma della legge elettorale può nascere solo dal dialogo tra le principali forze politiche… La richiesta di Giorgetti non deve essere lasciata cadere».

Se il Pd occhieggia alla Lega è perché la sua idea di riforma elettorale è in minoranza nella maggioranza. I dem insistono per un doppio turno nazionale, e Zingaretti fa sapere che non accetterà mai un sistema proporzionale puro, perché immaginano le prossime elezioni come uno scontro finale tra sovranisti ed europeisti. Scontro a due, dove tutte le terze forze – renziani e sinistra, ma anche grillini allo sbando – sarebbero costrette a convergere. In quest’ottica, persino un via libera al referendum leghista potrebbe agevolare i piani del Nazareno perché spingerebbe verso un modello maggioritario. Neanche su questo, però, il Pd ha una linea condivisa, ieri per esempio il deputato Raciti, corrente giovani turchi, ha criticato l’opzione maggioritaria «fatta apposta per conferire i pieni poteri alla destra» e ha chiesto la convocazione di una direzione di partito sul tema.

Così stando le cose, le trattative tra i (non) alleati di governo sulla legge elettorale si sono fermate, grazie anche agli impegni dei parlamentari che devono correre dietro ai decreti da convertire. Se ne riparlerà tra due settimane e, una volta escluso il doppio turno nazionale, che non piace e nessun altro (neanche a Renzi, malgrado ricordi da vicino il suo Italicum) la posizioni dovrebbero convergere su un sistema proporzionale. Per divergere immediatamente dopo, quando si affronterà il capitolo «correttivi». Il Pd insiste per una soglia di sbarramento qualificata di volta in volta come «importante», «consistente», comunque «alta». Vale a dire superiore al 3% attuale, che comunque ha consentito l’accesso al parlamento a sole sei liste, e anche al 4% che Leu e Iv propongono come mediazione. Almeno il 5%. La novità è che al Pd andrebbe bene anche una soglia «implicita», vale a dire il sistema spagnolo che proprio Orlando ha più volte proposto. In quel modello, proporzionale, la maggioranza delle circoscrizioni sono piccole o molto piccole, ma alcune grandi (le aree metropolitane) garantiscono in ogni caso un diritto di tribuna alle forze minori.