Il quadro che emerge dalle elezioni svedesi di domenica è complesso, dal momento che i due blocchi “tradizionali” sono sostanzialmente in pareggio. I voti degli svedesi all’estero saranno rilevanti, ma per questi bisogna aspettare mercoledì.

Quello che si può dire per ora è che lo sfondamento dell’estrema destra previsto dai sondaggi più pessimisti non è avvenuto. I Democratici di Svezia (Sd, partito fondato alla fine degli anni Ottanta con la partecipazione di militanti neonazisti, oggi versione locale del sovranismo anti-Ue e anti-immigrazione) si sono riconfermati terza forza con il 17,6%. Il quotidiano di sinistra Etc ricorda come, dopo le elezioni del 2010, quando Sd fece il suo ingresso in Parlamento, l’allora leader Mattias Karlsson promise che sarebbero diventati primo partito nel 2018. Non è avvenuto, anche se Sd è il partito che cresce di più rispetto alla tornata precedente, quando si era attestato sul 12,9%. Questa avanzata è però minore rispetto a quanto avvenuto tra il 2010 e il 2014, quando aveva guadagnato 7,2 punti, partendo dal 5,7%: la crisi dei rifugiati, insomma, pur sfruttata nella loro campagna elettorale, non ne ha accelerato la crescita, confermando l’idea per cui dietro al voto per Sd ci siano fattori diversi dalla politica di apertura ai richiedenti asilo del governo socialdemocratico-verde.

A sinistra i partiti di governo perdono voti, ma i socialdemocratici calano meno del previsto, raccogliendo circa il 28% dei consensi e confermandosi il primo partito svedese. Calano i Verdi, che superano di poco la soglia di sbarramento del 4%. Soglia che invece non supera il partito Iniziativa Femminista, fondato nel 2005 dalla carismatica Gudrun Schyman. Il Vänsterpartiet (partito di sinistra), con un programma centrato sulla lotta alle diseguaglianze e antirazzista, cresce (7,9%, +2,2 rispetto al 2014), in particolare tra i giovani, e si attesta al quinto posto.

Nella Alliansen (centrodestra), i Moderati, pur restando il secondo partito, sono in netto calo e scontano probabilmente posizioni ambigue rispetto a una possibile alleanza con l’estrema destra. Il successo, invece, del Partito di Centro (laici, liberali e antirazzisti) e dei cristiano-democratici è andato oltre le aspettative.

Questi ultimi, tradizionalmente marginali nel panorama politico svedese, hanno puntato su un elettorato anziano, spaventato da un sistema sanitario sempre meno funzionale dopo la sua parziale privatizzazione e hanno radicalizzato un messaggio di difesa dei valori tradizionali svedesi.

Il primo ministro socialdemocratico Stefan Löfven, nella notte di domenica, ha dichiarato di non lasciare l’incarico (passaggio a cui non è obbligato se riesce a trovare una maggioranza) e decretato la «morte della blockpolitik» (il sistema per cui le alleanze si compongono all’interno dei due blocchi e mai trasversalmente), di fatto chiamando partiti di centrodestra a collaborare. Tra questi, in particolare, il partito di Centro o i Liberali si sono già espressi contro possibili alleanze con i Democratici di Svezia.

L’avanzata dell’estrema destra rimane infatti forte e preoccupante in particolar modo data l’incertezza che emerge dalle urne. «Ora finalmente potremo esercitare influenza», ha commentato il leader nazionalista Jimmie Åkesson, invitando esplicitamente il leader dei Moderati al dialogo. Quello che avverrà nella Alliansen giocherà un ruolo importante. Se si romperanno i “blocchi”, o se i Democratici di Svezia andranno a collocarsi come ala estrema nel blocco di destra: per dirla con Etc, «i liberali devono svelare il proprio colore».