Nei quindici lunghi anni passati a dirigere prima il carcere di San Pietro, poi quello di Arghillà a Reggio Calabria, la direttrice Maria Carmela Longo, ora a capo della sezione femminile del penitenziario romano di Rebibbia, sarebbe stata un’alleata dei clan.

A beneficiare di favori, omissioni, trattamenti di riguardo sarebbero stati gli uomini di tutte le più importanti signorie di ’ndrangheta reggine. A partire dall’avvocato Paolo Romeo, negli anni Novanta deputato del Psdi, massone, già condannato in via definitiva per concorso esterno, attualmente imputato nel processo Gotha con l’accusa di essere un elemento di vertice della direzione strategica della ‘ndrangheta reggina. Insieme a lui, ha svelato l’inchiesta della Dda reggina, avrebbero ottenuto un trattamento di favore dalla direttrice anche il boss di Sinopoli, Cosimo Alvaro, l’uomo degli arcoti, Michele Crudo, e poi pezzi da novanta dei clan della Piana, come Mimmo Bellocco e Gianni Cacciola.

Longo è stata arrestata e posta ai domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici, guidati dal Procuratore Giovanni Bombardieri, scrivono nell’ordinanza di «una sistematica violazione delle norme dell’ordinamento penitenziario e delle circolari del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria». Secondo la ricostruzione della Dda, Longo «concorreva al mantenimento ed al rafforzamento delle associazioni a delinquere di tipo ‘ndranghetistico».

Secondo l’inchiesta, condotta dal Nucleo investigativo centrale del Dap, l’ex direttrice avallava «le richieste dei detenuti ristretti presso la casa circondariale Panzera». I detenuti favoriti erano collocati nel circuito “alta sicurezza”, indagati o imputati per 416bis o per reati aggravati dalle modalità mafiosa. In particolare, l’ex direttrice avrebbe avuto una predilezione per alcuni detenuti “graditi” che avevano la possibilità di incontrare i familiari fuori dal carcere e oltre i limiti previsti dalla disciplina dei colloqui.

La dottoressa Longo, è scritto nel capo d’imputazione, «individuava i detenuti da autorizzare all’espletamento del lavoro intramurario, e quelli da indicare al magistrato di sorveglianza per l’espletamento del lavoro esterno». L’ex direttrice, inoltre, avrebbe consentito «la collocazione di detenuti ristretti in circuito di Alta sicurezza legati da rapporti di parentela o appartenenti allo stesso sodalizio criminoso nelle medesime celle». Tutti soggetti che, a dispetto delle regole, avrebbero diviso celle e ore d’aria con parenti, picciotti o affiliati al medesimo clan. Con i quali potrebbero aver concordato linee difensive.

Longo si sarebbe mostrata anche disponibile ad accogliere nel carcere di Reggio Calabria detenuti per ‘ndrangheta spediti in istituti troppo lontani dalla Calabria per esser visitati con regolarità da amici e parenti. O che forse avevano necessità di non allontanarsi troppo dal proprio territorio.