Sulle prime pagine dei giornali del Cairo ieri non dominava l’incontro a Roma tra i magistrati italiani e la delegazione egiziana sul brutale assassinio di Giulio Regeni. In queste ore per la stampa locale il tema centrale non è la ricerca della verità nel caso del giovane ricercatore italiano ma la visita ufficiale, cominciata ieri, di re Salman dell’Arabia saudita. Visita che i media egiziani definiscono “storica” considerando il suo corredo di accordi economici. Il titolo più concreto l’ha fatto al Gomhuria, uno dei giornali più ossequiosi verso il regime: «Al Sisi-Salman, vertice della ricostruzione dell’ordine arabo». Vero, però al Gomhoria non aggiunge un altro punto fondamentale. La visita di re Salman sancisce, di fatto, la fine della centralità dell’Egitto nell’ordine mediorientale e, di conseguenza, delle ambizioni diplomatiche del presidente Abdel Fattah al Sisi a tutto vantaggio di quelle del sovrano saudita. Re Salman, durante questo viaggio “storico”, grazie ai suoi miliardi di dollari, comprerà l’Egitto e la sua politica estera. E al Sisi reciterà nei prossimi mesi o anni, ammesso che resti così tanto al potere, la particina dell’attore decaduto che si accontenta di fare un cameo ogni tanto e di non essere più il protagonista.

Re Salman non intende più regalare miliardi di dollari ad alleati che poi si sottraggono al dovere di fedeltà piena alla monarchia saudita. È stato così anche per al Sisi. Riyadh nel 2013 aveva accolto con gioia la notizia del colpo di stato compiuto dall’esercito egiziano a danno del presidente islamista Mohammed Morsi e dei Fratelli musulmani, “nemici” che da sempre mettono in dubbio la legittimità del titolo di custode di Mecca e Medina, i due principali luoghi santi islamici, che si è attribuito la famiglia al Saud. Una gioia alla quale sono seguiti investimenti, prestiti e depositi nella banca centrale, anche da parte di altre petromonarchie, per quasi 35 miliardi di dollari. Soldi che hanno puntellato la traballante economia egiziana uscita con le ossa rotte da due anni e mezzo di instabilità post Mubarak. Al Sisi ha preso i dollari e ringraziato. Negli ultimi tre anni però si è mostrato in più di un’occasione non in linea perfetta con la politica estera dell’Arabia saudita, specialmente da quando Salman è diventato re, poco più di un anno fa. Certo il Cairo ha aderito alla cosiddetta “Coalizione antiterrorismo” (nei fatti antisciita e anti Iran) messa in piedi da Salman e ha appoggiato l’offensiva saudita in Yemen inviando una squadra navale. Dopo però non ha dato alcun impulso reale alla creazione, proposta un anno fa da Riyadh, di una forza militare (sunnita) di pronto intervento contro le «ingerenze esterne» (l’Iran) segnalando di non appoggiare completamente la diplomazia aggressiva di re Salman. Più di tutto ha riallacciato, in una versione soft, relazioni con Damasco, nemica giurata dei Saud, e ha continuato a punzecchiare la Turchia di Erdogan (alleata dei Fratelli Musulmani) che pure ha stretto i rapporti con Riyadh nel nome della lotta comune al presidente siriano Bashar Assad e ai suoi alleati.

L’atteggiamento egiziano ha irritato non poco re Salman e i suoi alleati ma il monarca saudita sa che la bancarotta dello Stato egiziano non giocherebbe a favore dei suoi disegni regionali, mentre il nemico Assad è sempre al potere e l’offensiva in Yemen contro i ribelli Houthi (appoggiati da Tehran) ha avuto sino ad oggi un success limitato (ma ha provocato migliaia di vittime civili). Così, malgrado le sue finanze si siano assottigliate per il drastico calo del prezzo del petrolio, Riyadh ha deciso di correre in soccorso dell’Egitto e di dare l’aiuto economico necessario per tenerlo in piedi. «I sauditi non permetteranno il collasso dell’Egitto – spiega l’analista Mustafa Alami – ma allo stesso tempo, non possono pagare per sempre. Credo che re Salman cercherà di spiegarlo agli egiziani questo problema». Significa che re Salman non vuole versare miliardi di dollari senza assicurarsi della fedeltà assoluta dell’Egitto alla sua politica estera. Al Sisi conosce il prezzo che dovrà pagare e non può fare a meno di accettarlo viste le condizioni del Paese, alle prese con un Pil che cresce troppo poco per creare sufficienti posti di lavoro, un debito estero elevato e un debito pubblico galoppante. Senza dimenticare che il raddoppio del Canale di Suez. completato quasi un anno fa, si è rivelato, almeno sino ad oggi, molto deludente. Un primo segnale, passato quasi inosservato, della disponibilità egiziana ad accontentare re Salman, è stato l’ordine dato tre giorni fa dal regime al server satellitare Nilesat di spegnere immediatamente la frequenza di al Manar, il canale televisivo di Hezbollah, per affermare l’adesione del Cairo alla lotta senza quartiere che l’Arabia saudita ha lanciato il mese scorso contro il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Assad e dell’Iran.

Nelle ultime settimane i ministri egiziani hanno fatto la spola con Riyadh per assicurarsi il nuovo pacchetto di aiuti. L’Arabia Saudita oltre a garantire investimenti per quattro miliardi (dei quali 1,5 miliardi per progetti di sviluppo nel Sinai) darà anche il via libera a un accordo da 20 miliardi di dollari a sostegno del fabbisogno egiziano di petrolio nei prossimi cinque anni. Tuttavia i soldi potrebbero non bastare a cementare un rapporto che di fatto che sancisce, a svantaggio del Cairo, la supremazia nella regione di Riyadh che per decenni aveva avuto solo quella economica. «Egitto e Arabia saudita sono come due coniugi che litigano su tante cose ma che ha deciso di non divorziare per il bene dei figli», commenta il noto giornalista saudita Jamal Khashoggi.