Siamo pochi anni dopo la pubblicazione del racconto La morte a Venezia (1912) di Thomas Mann e vari decenni prima che Luchino Visconti ne cavi il suo film omonimo (1971) e Benjamin Britten il suo omonimo dramma per musica (1973). Siamo vari decenni prima che Pier Paolo Pasolini realizzi la sua opera anfibia Teorema (romanzo e film, 1968) e ancora Visconti il suo penultimo film Gruppo di famiglia in un interno (1974). Entro questa vague simbolica tutta novecentesca, il polacco Karol Szymanowski compone le musiche del dramma in tre atti Re Ruggero (Król Roger), che debutta a Varsavia nel 1926.

Il libretto, scritto dal cugino Jarosław Iwaszkiewicz, declina lo stesso nucleo drammatico che le altre cinque opere mutuano dall’archetipico Le Baccanti di Euripide, attraverso il filtro più o meno esplicito della psicoanalisi: l’incontro con un ospite inatteso, angelo visitatore e sterminatore, Altro che riflette e distrugge l’Io (Tadzio, il Pastore, Konrad), fa irrompere nella vita del protagonista (Aschenbach, Ruggero, il Professore) un elemento dionisiaco profondamente perturbatore, un Eros imprevisto e incontrollabile, un’energia sessuale che penetra nel Logos (l’intelletto forte del compositore, del re e del professore) e lo scardina usando come cavallo di troia il rispecchiamento narcisistico (il protagonista e l’ospite sono dello stesso sesso).

Antonio Pappano, che ha scelto questo “dramma siciliano”, come lo definì lo stesso compositore, per inaugurare la Stagione Sinfonica 2017 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dirige l’enorme compagine orchestrale con una finezza e una precisione stupefacenti, che restituiscono alla partitura il suo carattere di struggente confessione autobiografica e di accorata devozione estetica verso il romanticismo ormai tramontato, tenuto in vita dagli adepti di Gustav Mahler (cui peraltro si era ispirato Mann per il protagonista de La morte a Venezia): così nel suono che Pappano cesella si odono riverberi di Richard Strauss, Max Reger, Alexander Scriabin, degli impressionisti Claude Debussy e Maurice Ravel e una tensione mai estinta verso il pathos folklorico di Fryderyk Chopin.

Il cast si muove in perfetta sintonia col direttore. Una menzione speciale per il soprano Lauren Fagan (Roxana, moglie di Ruggero), dalla voce e dal viso sublimi. Bravi anche il baritono Lukasz Golinski (Re Ruggero), il tenore Edgaras Montvidas (Il Pastore), il basso Marco Spotti (Arcivescovo), il mezzosoprano Helena Rasker (Badessa) e il tenore Kurt Azesberger (Edrisi).

Pappano e Romaeuropa Festival, del cui ricchissimo cartellone Re Ruggero  fa ugualmente parte, hanno chiesto a Masbedo, il duo artistico composto da Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, assieme a Mariano Furlani, di interagire con l’esecuzione musicale dando vita a un progetto visivo live che mescola video prerealizzati e regia in presa diretta (due videocamere riprendono oggetti vari su una consolle posta al margine destro del palco e i cantanti quando le passano accanto). Il risultato è un’atmosfera ipnotica che àncora la tridimensionalità reale e inafferrabile della musica a quella illusoria e rassicurante di un grande schermo, rievocando la dimensione esperienziale del cinema neonato coevo all’opera e la matrice altissima di tanta musica cinematografica a venire: i corpi nudi, dipinti, tatuati, scorticati, sudati sono mostrati nel loro mutismo perturbante, vinto dallo stesso fragore alogico della musica cui le immagini tendono portando con sé i residui di logos intrinseci nel montaggio e in definitiva rivelando la loro essenza fragile ed effimera di simulacri.