Francesca Re David, segretaria generale della Fiom, domani festeggiate i 120 dalla fondazione a Livorno della Federazione italiana operai metallurgici: un traguardo importante.

Sì, il 16 giugno del 1901 nasce la Fiom e noi festeggiamo con un convegno all’aula magna dell’università Roma Tre che è un ex stabilimento Alfa Romeo. Puntiamo ad almeno altri 120 anni e quindi guarderemo avanti dando spazio alle esperienze di giovani – un rider, un rappresentante della seconda generazione di migranti, una lavoratrice agroalimentare del Pontino, delegate e delegati metalmeccanici e altri ancora – che, nonostante precarietà e pandemia, hanno sentito l’esigenza di mettersi assieme, di lottare insieme come da significato e radici del sindacato. Come disse Claudio Sabattini a Portella della Ginestra nel 2001 la precarietà è come «vivere un eterno presente» e costruire il futuro non lo si scrive da soli, mentre il rischio oggi è una chiusura corporativa, una competizione fra lavoratori e l’isolamento.

La storia della Fiom – nata prima della Cgil a cui però lavoraste da protagonisti – è fatta di un rapporto sinusoidale con la confederazione: già nel biennio rosso ci furono scontri mentre nel dopoguerra tutti i segretari generali della Fiom (Novella, Lama, Trentin) divennero segretari della Cgil, tradizione rinverdita ora con Landini.

È sempre stato un rapporto di autonomia e indipendenza. A livello storico per i 120 anni abbiamo approntato una squadra di storici e sociologi che lavorerà alla storia della Fiom dal 1980 a oggi che presenteremo al prossimo congresso in programma nell’autunno del 2022. Diciamo che con la confederazione in molti periodi c’è stato un confronto duro ma sempre all’insegna del motto: “Non c’è Cgil senza Fiom; non c’è Fiom senza Cgil”. Con Sabattini e per il decennio seguente c’è stata una visione diversa della sfida da parte delle imprese che noi come Fiom pensavamo andasse presa di petto. Il disegno di fare a meno di noi con l’esclusione dalle fabbriche Fca e con i contratti separati è fallito e anche con la Cgil il confronto – mai interrotto – ha riportato i segretari della Fiom in confederazione con Maurizio Landini.

Ora però vi trovate a fine pandemia con un governo di unità nazionale: non un momento semplice per il sindacato.

Un momento difficile che però è coinciso con un anno in cui abbiamo rinnovato tutti i contratti, da Federmeccanica, a Unionmeccanica e alle Cooperative. Rispetto al governo Draghi, ma è stato così anche con i governi Conte, c’è un grande problema: non ci considera come interlocutore per discutere di Pnrr, di politica industriale, di transizione energetica. Ci chiamano solo se ci sono da gestire crisi e esuberi.

La logica è: privatizzazione delle risorse, socializzazione dei debiti. Ed è inaccettabile perché porta al corporativismo, alla contrapposizione giovani-anziani, industria-commercio.

Una logica che si vede bene sul tema dei licenziamenti che saranno sbloccati dal primo luglio.
Sì, saranno sbloccati solo nell’industria. E non colpiranno solo nelle aziende in crisi ma anche in quelle che vorranno ristrutturarsi. È una logica profondamente sbagliata perché i metalmeccanici sono stati essenziali nella pandemia e adesso diventano superflui.

Su questo tema come su molti altri si sente fra i vostri delegati una gran voglia di piazza.

C’è una grande voglia di piazza. Per due motivi: dopo un anno e mezzo di pandemia c’è la necessità di ridare una forma collettiva alle lotte, riprenderci la presenza fisica, anche se in molte aziende si fanno gli straordinari e c’è voglia di normalità. E poi proprio contro lo sblocco dei licenziamenti ma in vista delle riforme delle pensioni e del fisco e delle politiche industriali che sono alle porte. Per questo bisogna dare una risposta a questa voglia e noi come Fiom siamo pronti a farlo.

Domani (oggi, ndr) sarete da Giorgetti per parlare di Stellantis. Siamo ancora in tempo a discutere con la multinazionale francese che ha inglobato Fca o sarete chiamati a ratificare le scelte – negative per l’Italia – di Tavares?

Intanto è positiva la convocazione che noi chiediamo da anni. Non è possibile che il governo sia spettatore di una fusione così importante dal punto di vista occupazionale e di transizione ecologica. Il governo ha riconosciuto un prestito da 6,3 miliardi, dunque di certo non accetteremo riduzioni occupazionali ma chiediamo di discutere le idee di Tavares e capire bene cosa intenda quando parla di costi troppo alti in Italia. Serve un percorso chiaro di elettrificazione e nuovi modelli che superino il dimezzamento della capacità produttiva in Italia. Se si affronteranno solo questioni secondarie con Giorgetti sarà un’occasione sprecata e un grave problema.

Su Taranto invece il governo dice di attendere il consiglio di Stato mentre gli ambientalisti, dopo la sentenza di condanna dei Riva, chiedono la chiusura dell’acciaieria.

Intanto voglio ricordare che la Fiom era parte civile nel processo, a dimostrazione che consideriamo l’aspetto sanitario e ambientale fondamentale. A Taranto si sono persi 10 anni – il primo sequestro è del 2011 – e ancora si è sprecato tempo a negoziare con Mittal che non rispettava i patti proprio a partire dall’ambientalizzazione. Credo sia paradossale dare la colpa dell’inquinamento ai lavoratori siderurgici che sono i primi a pagare con la salute. Rimango convinta che sia possibile, tramite le tecnologie più avanzate, produrre acciaio senza inquinare. Anche perché l’acciaio è necessario a tutta la produzione industriale e se non lo produciamo noi lo prendiamo “sporco” all’estero. Detto questo è chiaro che veniamo da decenni di inquinamento e quindi i tarantini hanno diritto alla salute.