Aveva lasciato intendere di voler svolgere un ruolo secondario, quello del gregario che porta l’acqua ai velocisti americani e sauditi prima dello sprint finale in Libia e Siria. E invece la Giordania di re Abdallah dietro le quinte è protagonista delle insaguinate vicende mediorientali e nordafricane, a sostegno dello storico alleato britannico. Londra, rivelavano ieri il quotidiano Guardian e il sempre ben informato sito Middle East Eye (Mee), con il sostegno attivo di Amman ha lanciato operazioni militari segrete in Libia contro Stato Islamico, avvalendosi del lavoro sul terreno dell’intelligence hashemita. È la prima conferma di operazioni militari britanniche in Libia. Il parlamento di Londra attende che il premier Cameron fornisca chiarimenti sull’intenzione di inviare in Libia mille soldati nel quadro di una forza d’intervento internazionale di 6000 uomini.

Middle East Eye in particolare ha ottenuto un resoconto dettagliato dell’incontro avuto lo scorso gennaio da re Abdallah con alti rappresentanti del Congresso Usa, durante il quale ha riferito che forze speciali britanniche (Sas) e giordane già operavano in Libia e che si attendeva un aumento delle operazioni segrete nel Paese nordafricano nelle settimane successive. I colloqui risalgono al viaggio a Washington del sovrano hashemita – un alleato di ferro degli Stati Uniti e partner di Israele nelle questioni di sicurezza – che in quella occasione ebbe più di una riunione con il Segretario di stato John Kerry e discusse della situazione in Medio Oriente con il presidente della commissione per forze armate al Senato Usa, John McCain, un noto sostenitore della “rivoluzione siriana” che nei suoi viaggi tra Giordania e Siria avrebbe avuto incontri con vari leader jihadisti, tra i quali, pare, addirittura Abu Bakr al Baghdadi prima che “l’emiro” proclamasse lo Stato islamico in Iraq e Siria. Re Abdullah, secondo il resoconto avuto da Mee, si sarebbe lamentato a Washington della mancanza di strategia chiara dagli americani nei confronti dello Stato Islamico e ciò lo avrebbe spinto a rivolgersi alla Gran Bretagna, Paese dove ha frequentato la Royal Military Academy nel 1980 ed è stato per un periodo un ufficiale dell’esercito di sua maestà. Il sovrano sarebbe convinto della necessità di una sorta di coordinamento globale contro lo Stato Islamico, dal Nordafrica al Medio Oriente, e sarebbe detto pronto, se necessario, ad inviare truppe giordane in Somalia, contro i miliziani islamisti Shabaab.

Londra, secondo le rivelazioni, avrebbe ricambiato il lavoro svolto dall’intelligence giordana in Libia partecipando alla creazione di un battaglione meccanizzato nella Siria meridionale, guidato da un comandante locale e composto da combattenti delle tribù locali, per contrastare l’esercito governativo siriano. Un secondo battaglione formato da uomini scelti delle forze armate giordane, due mesi fa si sarebbe posizionato sul confine con la Siria dove a inizio marzo avrebbe aiutato i “ribelli” del cosiddetto “Nuovo esercito siriano”, finanziato dagli Stati Uniti, a strappare allo Stato islamico il controllo del valico di al Walid. Amman già partecipa alla campagna di bombardamenti aerei voluta da Washington contro lo Stato Islamico e ha colpito duramente con i suoi jet dopo l’uccisione da parte dei jihadisti del pilota giordano Muath al Kassasbeh, abbattuto in Siria e fatto prigioniero. Qualche settimana fa, non lontano dal confine, reparti scelti giordani hanno ucciso presunti militanti dello Stato islamico durante un blitz notturno nella città settentrionale di Erbid.

Tuttavia il ruolo dei reparti speciali giordani lungo e oltre la frontiera con la Siria non è solo quello di combattere l’Isis. La fonte del Middle East Eye sostiene che Amman starebbe lavorando con diverse componenti dell’opposizione siriana per «sostituire» Bashar Assad alla presidenza. Sino ad oggi però la strategia di re Abdallah ha fatto cilecca. Alcuni disertori siriani, ufficiali fuggiti in Giordania dopo il 2011, si sarebbero rifiutati di recitare ruoli di rilievo nel piano giordano. Re Abdallah nel 2011 aveva chiesto con forza al presidente siriano di farsi subito da parte, aggiungendosi al coro guidato dall’Arabia saudita. In quel periodo Assad vacillava. Cinque anni dopo la situazione è ben diversa. Le truppe siriane, grazie all’aiuto militare russo e dei combattenti sciiti di Hezbollah, hanno ripreso l’iniziativa riconquistando ampie porzioni di territorio nazionale finite sotto il controllo dello Stato Islamico, dei qaedisti di al Nusra e di altre formazioni jihadiste. Assad non vacilla più e detta le sue condizioni al tavolo delle trattative indirette con l’opposizione. Ad Amman fanno i conti con questa realtà.