Nakba Day senza raduni. Le misure di contenimento del coronavirus hanno impedito gran parte delle manifestazioni in strada. Ma i palestinesi, issando bandiere sulle case dei campi profughi e con canti diffusi dagli altoparlanti, hanno ugualmente commemorato la “Catastrofe”, il termine con cui dal 1948 descrivono la perdita della terra e l’esilio di centinaia di migliaia di persone prima e dopo la nascita dello Stato di Israele. In 72 anni i palestinesi non hanno raggiunto alcuna delle loro aspirazioni sebbene le risoluzioni internazionali affermino i loro diritti. E ora all’orizzonte c’è l’annessione unilaterale a Israele di larghe porzioni di Cisgiordania in linea con il piano presentato a fine gennaio da Donald Trump. Benyamin Netanyahu sarà a capo del nuovo governo israeliano che – se i suoi fedelissimi nel Likud smetteranno di litigare per gli incarichi ministeriali – verrà presentato domani. Il premier vorrebbe dare al più presto il via alla Knesset all’iter legislativo dell’annessione. Non è detto che le cose vadano secondo i tempi che si è dato.

 

Le pressioni aumentano e la Giordania, alleata di Israele, contesta con forza le intenzioni di Netanyahu. Ieri il re hashemita, Abdallah II, ha lanciato un attacco durissimo al progetto di annessione. In un’intervista a Der Spiegel, Abdallah ha avvertito che se Israele avanzerà il suo piano entrerà in un conflitto politico e diplomatico con il regno. Quando Der Spiegel gli ha chiesto se reagirà congelando il trattato di pace con lo Stato ebraico, Abdallah ha risposto che sta valutando tutte le opzioni. Una rottura delle relazioni tra Tel Aviv e Amman è da escludere ma la Giordania da tempo è allarmata dalle mosse unilaterali di Netanyahu e di Donald Trump. Se crollasse l’Autorità nazionale palestinese (Anp) a causa del piano di annessione, ha messo in guardia re Abdallah, si arriverebbe «al deterioramento, al caos e alla radicalizzazione nella regione. Concordiamo con molti paesi in Europa e con la comunità internazionale che la legge della forza non deve applicarsi in Medio Oriente».

Re Abdallah di Giordania

 

Gli Hashemiti puntano sulla nascita dello Stato di Palestina, piccolo ma sovrano, in modo che, si augurano, si realizzi l’aspirazione dei palestinesi all’indipendenza. Altrimenti, temono, quelle aspirazioni potrebbero rivolgersi verso la Giordania, con una popolazione di origine palestinese almeno al 50%. Alla destra israeliana non dispiacerebbe, anzi. L’Opzione giordana, così come è nota questa soluzione, era in voga tra i leader israeliani, tra gli anni ’70 e ’80. A chiuderla nel cassetto furono la prima Intifada palestinese e gli Accordi di Oslo che il 4 maggio 1994 diedero vita all’Anp.

 

L’Opzione giordana ora riemerge dall’oblio, re Abdallah è infuriato e l’Amministrazione Usa deve tenerne conto. Anche per questo Washington ha ingranato la marcia bassa. Mercoledì il segretario di stato Mike Pompeo, in visita a Gerusalemme, non ha dato il via libera dell’Amministrazione all’annessione immediata che si attendeva Netanyahu. E ieri la portavoce del Dipartimento di Stato, Megan Ortagus, ha affermato che le mosse israeliane dovrebbero essere discusse nel contesto di colloqui con i palestinesi.

 

Il Consiglio affari esteri dell’Unione europea ieri ha discusso di possibili risposte all’annessione. Alcuni ministri hanno suggerito che l’Ue inizi ad indicare i progetti congiunti con Israele che potrebbero essere danneggiati dai piani di Netanyahu. Quello della Bulgaria ha proposto di invitare al prossimo incontro il futuro capo della diplomazia israeliana, Gabi Ashkenazi.