Il libro di Nicolò Bonacasa, Razzismo ieri e oggi (De Ferrari Editore, pp. 534, euro 24), ci permette di ampliare l’orizzonte storico di un fenomeno d’estrema attualità. Il razzismo viene definito una «malattia» che percorre la storia dell’umanità e che si manifesta in vari modi: dalle persecuzioni contro singoli individui o gruppi sociali considerati diversi e inferiori rispetto al «noi» del gruppo dominante, sino alle guerre di sterminio praticate nel corso dei secoli. Il razzismo contemporaneo è palesemente legato ai flussi migratori dai paesi più poveri a quelli più ricchi ed è destinato a provocare reazioni di rigetto tra gli strati popolari, come fra l’altro era già avvenuto nel passato per l’emigrazione italiana verso altri paesi europei e le Americhe.

L’AUTORE sottolinea il continuo ribaltamento di posizioni tra persecutori e perseguitati. L’intolleranza si manifesta anche in certi settori che consideriamo tradizionalmente pacifisti, contrastanti i libri sacri di tutte le confessioni religiose che proclamano la pace tra i popoli e l’amore verso il prossimo. Le radici di tale fenomeno sono più antiche di quanto appaiano oggi; già nella gloriosa Atene della polis e della nascita del pensiero politico, si stima che tra il V e IV secolo a.C. gli schiavi superassero il numero delle famiglie residenti. Altrettanto nella Roma imperiale, dove gli schiavi, che non erano considerati uomini, venivano venduti all’asta nei pubblici mercati.

NIENTE DI DIVERSO intorno alla scoperta dell’America che fu duramente pagata dagli indigeni, come denunciava lo stesso Bartolomé de Las Casas. L’arrivo di Cristoforo Colombo con le sue caravelle il 12 ottobre 1492, e le successive spedizioni al servizio dei reali di Spagna, segnarono l’inizio dello sterminio per i popoli nativi. Negli Stati Uniti – dalla dichiarazione d’indipendenza in poi – gli scontri tra il nuovo Stato e le popolazioni indigene furono caratterizzati da continui massacri e nel 1883 la Corte Suprema riconosceva «un indiano d’America come uno straniero». In epoca a noi contemporanea Bonacasa descrive i casi del genocidio in Cambogia negli anni Settanta e quello in Ruanda nel 1994. I militanti del Partito comunista cambogiano, detti Khmer rossi, diretti da Pol Pot, sterminarono oltre un milione e mezzo di persone. Tra le vittime vanno annoverate i monaci buddisti (su 70mila ne sopravvissero soltanto 2mila) e i musulmani, che rappresentavano le due principali religioni professate nel paese.

In Ruanda (in passato colonia belga) in appena cento giorni di scontri interetnici furono massacrate oltre 800mila persone, soprattutto di etnia Tutsi, cui si aggiungono alcuni milioni di rifugiati nei paesi confinanti (Burundi, Tanzania, Congo). Gli organismi internazionali assistettero impotenti. Infine arriviamo ai flussi migratori e alla conseguente diffusione dell’ideologia razzista. In questo caso, l’autore parte da un’analisi della povertà che riguarda circa tre miliardi di persone nel mondo, di cui mezzo miliardo in Africa.

UN NUOVO CONCETTO, per capire il mutamento dell’immaginario collettivo su questi temi, è quello chiamato «razzismo istituzionale» che coinvolge i rappresentanti delle autorità (forze di polizia, amministratori locali, addetti ai pubblici servizi); è di carattere sotterraneo e non viene mai esplicitato, ma si evidenzia in certe pratiche discriminatorie. I respingimenti dei migranti provenienti da diversi paesi sub sahariani imbarcati in Libia, e attuati nel 2009 dal governo Berlusconi, rientrerebbero, secondo Bonacasa, in questa casistica.