Fino all’altro ieri solo poche decine di migliaia di lombardi avevano sentito parlare di Attilio Fontana, già sindaco di Varese, vicepretore onorario di Gavirate. Un avvocato, talvolta provvisto di barba e talvolta no, considerato un «leghista per bene», come dire un leghista scarsamente visibile, e infatti l’astuto Berlusconi aveva fiutato in lui un possibile perdente.

E ora, l’estremista in grisaglia è uscito con la storia della «razza bianca» da difendere contro gli immigrati invasori, una dichiarazione che persino Trump esiterebbe a twittare. Un bell’autogoal. Addirittura Gasparri ha preso le distanze dall’imprudente vicepretore onorario.

Il quale però insiste e, invece di andare a nascondersi, sostiene che persino la nostra costituzione parla di «razza». Come se, dopo un autogoal, il giocatore responsabile andasse a insultare l’arbitro.

Ovviamente il nostro vicepretore onorario avrà frequentato il corso di diritto costituzionale (alla Statale di Milano, dove si è laureato, è obbligatorio al primo anno). E quindi saprà che la parola «razza» è ricordata all’art. 3 della Carta: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Ora, chiunque capisce che qui la parola «razza» è usata in senso antirazzista.

La nostra costituzione è del 1947, e forse, a quel tempo, i padri costituenti erano meno sensibili di noi alle sfumature lessicali. Volevano dire semplicemente che la razza non conta. Magari oggi si direbbe «tutti sono uguali davanti alla legge senza alcuna distinzione».

In ogni caso, le parole significano per l’intenzione di chi parla e soprattutto nel loro contesto (ma forse Fontana non lo sa, dato che queste cose le insegnano a Lettere).

Ora, nell’Italia di oggi, parlare di «razza bianca» a proposito di chi sarebbe minacciato dagli stranieri è razzismo puro e semplice, esattamente come nell’Italia delle leggi razziali o nel Mississippi del Ku Klux Klan.

Significa infatti dire che c’è una categoria di cittadini che non deve mescolarsi con altri cittadini o comunque soggetti tutelati dalla legge «senza distinzione», come i migranti.

Insomma Fontana vorrebbe una categoria di cittadini «pura». Ecco un’espressione esplicitamente razzista, conforme in tutto e per tutto all’ideologia del suprematismo bianco..

Detto questo, il problema vero non è certamente Fontana, ma tutta la sua parte politica, che è sì in imbarazzo per l’uscita dell’aspirante governatore, ma sotto sotto la pensa esattamente come lui o usa parole simili per qualche voto in più. Come i 500.000 immigrati delinquenti di Berlusconi.

Cifre immaginarie, iperboliche, che non significano nulla, ma che terrorizzano anziani, persone fragili e timorose, insomma un bel bacino elettorale da conquistare. Ma così facendo, non si farà che aumentare il razzismo implicito o esplicito, giustificare uscite sempre più clamorose, in una spirale senza fine.

Ovviamente, questo a Berlusconi non interessa. Ma sembra che non interessi nemmeno ai suoi supposti avversari politici.

I reati diminuiscono, ma la domanda di sicurezza cresce, ha detto ieri il presidente Gentiloni. E come spiegare, questa contraddizione così plateale? Se è una questione di percezione, perché non lavorare sulla percezione, invece di invocare maggiore sicurezza, e quindi mandare più soldati e poliziotti in giro, facendo credere ai cittadini che i reati stiano aumentando?

Misteri della politica italiana. No, il problema dell’Italia di oggi non è solo Fontana.