Il giovane Engels, molto versato in strategia militare, scriveva nel 1854 che «in guerra vi è una sola linea politica giusta: attaccare con la massima rapidità ed energia, battere l’avversario e costringerlo a sottomettersi alle condizioni del vincitore».

L’offensiva lanciata da Kiev a inizio anno nel Donbass e contrastata con successo dalle milizie delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, che nelle ultime settimane hanno preso il sopravvento su un esercito ucraino sempre più demotivato, sembra rispondere in pieno a quella logica.

Da ambedue le parti in conflitto si è consapevoli che se oggi, ai colloqui di Minsk tra Francia, Germania, Russia e Ucraina, si arriverà veramente a ratificare qualcosa (non sarebbe davvero poco se quel «qualcosa» fosse almeno la delimitazione di una zona smilitarizzata lungo la «linea di contatto» tra le forze in conflitto: ma l’idea è appena in discussione all’Osce) in alcun modo si potrà prescindere dal dato di fatto dell’ultima linea di fronte raggiunta.

Poiché in politica, come in guerra, il diritto è sempre quello del più forte, questi ultimi giorni hanno registrato, a differenza di quanto ci si sarebbe potuti aspettare dopo i colloqui a tre di venerdì scorso a Mosca, un’intensificazione degli scontri e una diversificazione dei fronti di guerra, tanto che l’Onu ha registrato 263 morti e oltre 700 feriti solo tra il 31 gennaio e il 5 febbraio.

Se lunedì le milizie avevano parlato del pieno accerchiamento di migliaia di soldati ucraini nel saliente di Debaltsevo, ecco che ieri la guardia nazionale ucraina è passata all’attacco nel settore di Mariupol.

Da giorni era attesa un’offensiva governativa verso Novoazovsk, poche decine di chilometri a est di Mariupol. Pare però che i governativi non si siano spinti molto a est e si può presumere che la diversione abbia risposto solo a esigenze di facciata.

Come altre volte, infatti, l’offensiva è coincisa con la presenza al fronte del segretario del Consiglio di difesa, Aleksandr Turcinov. Da parte delle milizie, di contro, non si esclude una controffensiva nell’area meridionale della regione di Donetsk.

Sempre ieri però, notizie di morti civili sono giunte da Kramatorsk, in linea d’aria, una settantina di chilometri a nordovest di Debaltsevo e sotto controllo ucraino. Bersagliato il Centro di comando governativo, ma si registrano anche 8 vittime civili.

Kiev ha puntato il dito sulle milizie: la direzione dei tiri farebbe supporre una provenienza da Gorlovka, a est della linea del fronte. Ma ci sono contraddizioni sul tipo di proiettili usati. Le milizie parlano di «provocazione»: «Noi non spariamo sulle città e sulla popolazione civile, a differenza dei rappresentanti dell’Ucraina», ha detto il vice Ministro della difesa di Donetsk Eduard Basurin. Le caratteristiche degli spezzoni rinvenuti lascerebbero presumere una distanza di tiro non a portata delle armi delle milizie.

Inoltre, sono circolate voci secondo cui l’attacco potrebbe essere stato portato da elementi dei battaglioni nazionalisti, da tempo in rotta con l’esercito. Ancora in serata le agenzie non davano risposte univoche. E la Kiev ufficiale non ha confermato nemmeno la notizia, diffusa dal battaglione «Azov», dell’abbattimento di un caccia russo nell’area del Donbass.
In generale, rispetto alla linea quale si era stabilizzata dopo i protocolli di Minsk del settembre e il loro «aggiornamento» del dicembre scorso, le parti giungono oggi nella capitale bielorussa con significativi spostamenti del fronte, non proprio favorevoli all’esercito ucraino.

Oltre la sacca di Debaltsevo, da settimane al centro degli sforzi delle parti – alla sua importanza strategica quale snodo viario, si potrebbe ora aggiungere quella militare e psicologica di miliziani che prendono prigionieri migliaia di soldati ucraini – si deve registrare un serio slittamento del fronte verso occidente, soprattutto nella parte meridionale della regione di Donetsk, a vantaggio delle milizie.