Roma evita il razionamento idrico all’ultimo minuto, al termine di una giornata convulsa che si conclude con un compromesso tecnico. Sullo sfondo l’aumento di tensione del confronto politico.

Mancano soltanto poche ore alla mezzanotte, ora in cui le condutture che dal lago di Bracciano arrivano fino a Roma e ai comuni del Lazio centrale serviti da Aceta Ato 2 si spegneranno, quando ancora le trattative paiono in alto mare.

Unica certezza: i serbatoi sono pieni e in grado di garantire il normale servizio idrico solo fino a lunedì. Dal mese di agosto, dicono da Acea, sarà necessario il razionamento. È in questo frangente, nel lasso di poche ore, che si gioca la partita a scacchi tra enti locali.

E le soluzioni alternative si intrecciano indissolubilmente alle manovre politiche. Da una parte c’è l’amministrazione regionale, dall’altra quella comunale.

Acea è il terzo incomodo: per le gestioni passate dell’azienda bisogna guardare alle maggioranze di centrosinistra che hanno prevalso negli ultimi anni. Per quella attuale è inevitabile voltare lo sguardo alla maggioranza grillina che da Roma esprime il 51% dell’azionariato.

«È intollerabile che Roma venga privata dell’acqua – dice la sindaca Virginia Raggi – Il governo intervenga con gli strumenti che ha a disposizione. È necessaria la dichiarazione dello stato di emergenza».

Da Palazzo Chigi si reagisce secondo protocollo: «Sono in corso i tempestivi adempimenti istruttori, previsti dalla legge, da parte della Protezione civile, nei prossimi giorni potranno essere compiute le valutazioni».

Lo scontro politico si acuisce. Il Movimento 5 Stelle non vuole restare col cerino in mano. Da giorni lamenta l’eccessiva solerzia dell’ordinanza che ha bloccato le captazioni, schierandosi di fatto con Acea e attirandosi l’ostilità dei comuni che si affacciano sul lago di Bracciano.

Dal M5S si affida ai consiglieri regionali l’attacco al presidente Zingaretti: «Dov’era negli ultimi anni mentre la crisi idrica aumentava? Dov’era quando bisognava controllare, monitorare, pianificare? La Regione Lazio e Zingaretti in primis sono artefici e responsabili di questa situazione perché non hanno legiferato fino in fondo e non hanno controllato. Troppo facile svegliarsi e chiudere i rubinetti a Roma».

Dal comitato in difesa del lago di Bracciano sentono puzza di bruciato e diramano un comunicato: «Chiediamo l’assoluto rispetto dell’ordinanza regionale e respingiamo ogni ipotesi di slittamento o deroga del provvedimento regionale. Chiediamo inoltre che sia incaricato un soggetto terzo che possa controllare il rispetto dell’ordinanza, anche con accesso ai locali di Acea».

Raggi convoca una sua conferenza stampa alle 18. Rilancia l’allarme e definisce ancora «inaccettabile» ogni razionamento idrico e lancia il pallone sulla metà campo della Regione.

Il ministro dell’ambiente Galletti e Zingaretti convocano i giornalisti subito dopo. Praticamente in contemporanea Luca Lanzalone, l’avvocato genovese vicino a Grillo scelto dal M5S come presidente di Acea, anticipa: «un provvedimento modificativo» della sospensione della fornitura di acqua dal lago di Bracciano verso Roma da parte della Regione.

I grillini esultano, esaltano il ruolo della sindaca di Roma. Si apprende da Galletti che a seguito di una trattativa con il ministero dell’ambiente, la Regione consentirà ad Acea di continuare a prelevare acqua dal lago Bracciano, anche se in forma ridotta, dai 900 litri al secondo a 400. Lo stop alle captazioni è rinviato all’1 settembre.

Ma Zingaretti considera che anche dalla capitale debbano arrivare alcuni impegni. Intima a Raggi di adottare «tutte le misure idonee a ottenere il maggior risparmio idrico in campo civile, industriale e agricolo».

E non rinuncia a togliersi sassolini dalla scarpa: «Il sindaco di Roma è anche azionista di maggioranza di Acea. Ho letto le sue dichiarazioni: ha confermato di essere troppo abituata a scaricare le responsabilità su altri e non assumersi le proprie. Con questo atteggiamento Roma rischia di morire».